Marta Salti e Giorgio Giacomazzi, dall’Unibs a Lampedusa per salvare vite

I due neolaureati hanno trascorso qualche tempo sulle navi e con il Cisom: il racconto della loro esperienza medica e umanitaria
Marta Salti e Giorgio Giacomazzi
Marta Salti e Giorgio Giacomazzi
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Un mese lui, un mese e mezzo lei. Futura endocrinologa lei, aspirante pediatra lui. Marta Salti, 27 anni, e Giorgio Giacomazzi, 25 anni, si sono laureati da poco in medicina all’Università degli studi di Brescia. In attesa di sapere come andrà il test per la specializzazione non sono stati con le mani in mano e lo stetoscopio al collo: hanno deciso – spinti da chi prima di loro ha fatto lo stesso – di trascorrere qualche tempo a Lampedusa facendo un’esperienza con il Cisom, per vedere con i propri occhi come funzioni la macchina del soccorso umanitario nel Mediterraneo e soprattutto per mettere a disposizione le competenze acquisite.

Il Cisom a Lampedusa

A inizio estate i due – entrambi ex collegiali del collegio Lucchini – hanno svolto la professione medica in prima linea: il Cisom – Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta – a Lampedusa ha sette team composti da medico e infermiere e altre squadre in altre zone che necessitano il primo soccorso. Per qualche tempo hanno fatto parte di questi team: Marta per due settimane ha svolto il servizio sulle navi maggiori (Diciotti e Classe Dattilo) e un mese a terra facendo turni su motovedette e navi della Guardia costiera e della Guardia di finanza. I turni li ha fatti anche Giorgio, trascorrendo lì un mese.

Uno dei mezzi su cui Salti e Giacomazzi hanno prestato servizio
Uno dei mezzi su cui Salti e Giacomazzi hanno prestato servizio

«Erano tre, quattro anni che avevo in mente di fare questa esperienza – dice Salti –. Alcuni amici medici che erano tre anni avanti a me nel percorso di studi mi hanno sempre detto: quando ti laurei devi andarci. E poi c’è la mia spinta personale: volevo toccare con mano questa realtà molto delicata, avendo la possibilità e il privilegio di poterlo fare da medica».

Anche Giorgio aveva sentito parlare di Lampedusa da alcuni amici. «E poi volevo mettermi in gioco facendo un’esperienza umanitaria e vedendo da vicino una realtà di cui si sente sempre parlare in tv e sulla quale ci sono pareri discordanti. Volevo vedere com’è davvero la situazione, ma soprattutto cosa si possa fare concretamente».

Esperienza intensa

Ciò che ne esce, dicono, è un’esperienza intensa e arricchente dal punto di vista umano e professionale. «Essere lì in vesti mediche è significativo», dice Giacomazzi. «Riesci a dare una mano per davvero. La mia esperienza è durata un mese e ho lavorato in collaborazione con il Corpo della capitaneria di porto della Guardia Costiera. Era organizzata in turni di pattugliamento e turni di reperibilità. Quanti salvataggi al giorno? Dipende dalla richiesta che arriva dal mare. Noi davamo supporto medico e assistenziale su richiesta, mentre alcuni servizi erano programmati. Essendo situazioni di emergenza – in mare non è facile lavorare – le condizioni non permettono di fare molto, ma chi è lì deve farlo con ciò che ha a disposizione: tra le cose che ho imparato ci sono la prontezza e la tempestività. Bisogna agire in modo rapido. Ma questo mese è stato utile soprattutto dal punto di vista umano: tutte le situazioni sono delicate, non semplici da gestire».

Marta e Giorgio non si sono interfacciati solo con medici. «È stato molto interessante lavorare con persone che svolgevano compiti complementari al nostro», ammette Salti. «Per esempio con i membri degli equipaggi che stanno fissi a Lampedusa, con i mediatori culturali, con chi lavora per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni unite (l’Oim), con i volontari e i medici della Croce Rossa… Ci sono tante realtà che ruotano intorno al problema e così si crea un confronto utile e profondo».

La porta d'Europa a Lampedusa, monumento di Mimmo Paladino dedicato alla memoria dei migranti dispersi in mare
La porta d'Europa a Lampedusa, monumento di Mimmo Paladino dedicato alla memoria dei migranti dispersi in mare

La macchina dei soccorsi

Senza scomodare i dati e i numeri riguardanti le migrazioni e la macchina del soccorso in mare, Marta e Giorgio tirano le somme dell’esperienza basandosi sulle loro sensazioni di prima mano. «Ciò che percepisco è che globalmente ci sia solo una vaga idea di come funzioni davvero», dice Salti. «Il fenomeno migratorio difficilmente può essere fermato e non si può evitare che le persone sbarchino. O perlomeno è difficile, se non impossibile, anche perché storicamente l’essere umano si è sempre mosso. La vera sfida è provare davvero a creare un apparato che sia quanto più in grado di accogliere queste persone. Esiste già, lo si fa da tanto, e bisogna continuare a migliorarlo e a renderlo efficiente, anche se il primo soccorso, da ciò che ho visto, è già molto ben oliato e funzionante. Sia dal punto di vista dell’individuazione delle situazioni di difficoltà in mare, sia per l’accoglienza a terra, anche con le attività di Questura e Forze dell’ordine».

Una delle motovedette della Guardia costiera a Lampedusa
Una delle motovedette della Guardia costiera a Lampedusa

Tornati a Brescia e tirata la riga, per i due neomedici l’impegno con il Cisom non ha fatto che confermare le loro aspirazioni. «Ho imparato tanto dal punto di vista del soccorso ma anche da quello pediatrico», dice Giorgio. «Mi sono confrontato con bambini in situazioni molto sensibili. Credo che il bagaglio che mi porto dietro diventerà un punto di forza: mi permetterà di affrontare le situazioni di emergenza anche nella quotidianità ben più tranquilla delle nostre zone».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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