Vincenzo Latina: «Con luce e marmo commemoro le vittime di Lampedusa»
Un racconto di amicizia, di legami profondi, e di come intenti condivisi, forti e autentici, possano dar vita a una bellezza straordinaria, canalizzando le energie in una direzione comune. Abbiamo sentito l’architetto Vincenzo Latina – docente universitario, Medaglia d’Oro Architettura Italiana 2012 e Premio Architetto Italiano 2015 – per parlare del progetto «Una costellazione in Terra - Il memoriale per le vittime del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa» e farci raccontare di come un luogo dimenticato restituito alla comunità sia diventato un simbolo di celebrazione della memoria, ma anche della vita.
Lo abbiamo fatto in occasione della mostra dedicata al progetto che verrà inaugurata martedì 21 gennaio nella sede dell’Ordine degli architetti di Brescia, promossa dall’Ordine in collaborazione con il Botticino Stone District, il Distretto Lapideo Bresciano e il Rotary Club Valle Sabbia Centenario. Curata da Nicola Bianco Speroni e dal Distretto Lapideo Bresciano, con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Brescia e dell’Ordine degli Architetti Ppc della provincia di Brescia e il patrocinio di Comune di Lampedusa e Linosa, Ravenna Festival, Consolato Generale del Giappone a Milano, Musil Museo dell’industria del lavoro e Confindustria Brescia, sarà aperta nelle sale di palazzo Martinengo delle Palle in via San Martino della Battaglia 18, da lunedì a venerdì 9-12.30 e 14.30-18, il mercoledì 9.30-18.
Architetto Latina, come nasce il progetto?
È nato dalle caratteristiche del luogo. L’Amministrazione mi aveva chiesto di creare un giardino, uno spazio verde, come tanti ce ne sono. Invece il sito era così aspro, così asciutto. Aveva il fascino del luogo quasi abbandonato. Ma conteneva delle tracce essenziali potenti che erano quelle dello scavo, che ricordavano strutture antiche: basi, fondazioni di templi, di palazzi, pur non essendoci mai stati. L’idea, in corrispondenza anche di un budget un po’ ridotto, è stata quella di intervenire – come si fa con la chirurgia o l’agopuntura – in alcuni punti che entrassero poi in risonanza con altri. In questa condizione il luogo è stato fondamentale perché si è cercato di interpretarne le suggestioni, che erano quelle di uno spazio che poteva funzionare per concerti, musica e per riunire comunità che volessero festeggiare, incontrarsi e commemorare.
Un luogo che affascina profondamente…
Quando mi trovavo nella cava sentivo questo sprofondamento, che ha la suggestione del muro, della separazione. Come una grande siepe di roccia. Il fascino del «L’infinito» di Giacomo Leopardi, in cui attraverso l’occultamento della visione si possono attivare dei sensi che fanno immaginare mondi diversi e più ampi. Nella cava senti il mondo del mare: lo senti nella bocca, nella salinità dell’aria, nel fragore delle onde.
Cos’è la costellazione in terra?

In una delle pareti della cava si è cercato di immaginare non l’ammonimento di un monumento o di una scultura – ne è pieno il mondo! – ma di attivare una condizione per cui le persone potessero incontrarsi per commemorare attraverso la condivisione di intenti e di sensazioni. Abbiamo deciso di farlo con il fuoco, un grande attivatore di emozioni. Il fuoco è un predatore, gli uomini da sempre ne sono attratti in una doppia condizione di eros e thanatos. Per questo abbiamo pensato di commemorare i 368 naufraghi che hanno perso la vita nel naufragio del 3 ottobre 2012, attraverso altrettanti fori, che assomigliano a una mitragliata sulla parete. I fori ricordano delle bolle d’aria congelate nella roccia. Attraverso il rito collettivo e ancestrale – che è quasi mistico, seppur profondamente laico – del dare la luce, si accende un lume in ogni foro, scacciandone l’ombra. Così facendo si porta vita dove c’era morte. I fori non sono stati fatti a caso, ma disegnano una costellazione. Una volta che vengono accese nella notte, le bolle d’aria congelate nella loro condizione drammatica, possono liberarsi e raggiungere il firmamento, diventando una delle tante costellazioni che fanno parte del nostro universo.
Come è nato il rapporto con Brescia?
Conosco il Consorzio Produttori Marmo Botticino Classico da diversi anni, da quando mi assegnarono il premio Arch&Stone’13. Ho potuto così incontrare persone straordinarie come Giovanni Merendino e tanti altri con cui è nata una sincera amicizia. Insieme abbiamo collaborato per interpretare il marmo, che non serve solo per soglie e stipiti. Il Botticino è uno dei marmi più importanti al mondo per l’architettura, pensiamo al Vittoriano a Roma o alla Casa del Fascio di Como, opera di straordinaria bellezza e sintesi. Da cosa nasce cosa: ho incontrato il Rotary Club Valle Sabbia attraverso Nicola Bianco Speroni e tanti altri. Hanno chiesto di partecipare a uno dei miei viaggi a Lampedusa e di poter fare qualcosa… Così nel 2022 ci siamo inventati il concerto del maestro giapponese Takahiro Yoshikawa, attivando per la prima volta lo spazio teatrale della cava. Il concerto è stato eccellente. Takahiro era elegantissimo nel suo abito da concerto, sembrava un marziano in quella condizione così terrosa, così primigenia. Un contrasto bellissimo. Dopo il concerto è stato fatto per la prima volta il rito della luce, accendendo la parete. Ne sono tutti rimasti affascinati. L’estate scorsa abbiamo ripetuto con il maestro Riccardo Muti un concerto straordinario promosso da Rai, Siae e dal Ravenna Festival, ospitando artisti eccezionali come Giovanni Sollima. Anche questa volta abbiamo ripetuto il rito della luce.

Quella tra Brescia e Lampedusa è una vera e propria sinergia…
Si è creato un gemellaggio tra Brescia e Lampedusa e insieme hanno raggiunto anche Ravenna. Un luogo che può sembrare sperduto nel Mediterraneo ha saputo attivare virtuosamente queste relazioni tra città diverse, molto lontane tra loro, rispondendo con la cultura, con la bellezza e con l’arte. È importante che altre comunità vogliano mostrare vicinanza a Lampedusa, per far sì che l’emergenza migranti possa finire.
Cosa vedremo in mostra?
La prima cosa che accoglie il visitatore sono due camere d’aria di produzione coreana, provenienti da uno sbarco. Queste due camere d’aria da scooter in quell’occasione si sono improvvisate salvagenti. In mostra sono diventate due occhi che ti guardano. Sotto di esse è riportata la frase (rimando a Magritte): «Ce n’est pas une chambre à ai». Sono poi esposte una serie di foto dell’intervento, dei concerti, alcuni frammenti e oggetti. Non vuole essere una mostra documentaria, ma testimoniale. Quasi metafisica, perché cerca di interpretare un luogo che diventa senza tempo.
Cosa significa recuperare uno spazio marginale come una cava per restituirlo alla comunità?
Le cave – il bresciano ne è pieno – sono delle straordinarie opportunità perché si prestano ad accogliere qualcosa. Proprio perché sono «marginali», non costruite, sfrangiate e aperte, hanno la vocazione straordinaria nell’entrare in sintonia se si individuano dei temi attinenti. Luoghi che da molti sono considerati grandi ferite possono diventare attivatori di cultura, di bellezza e di incontro.
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