Cultura

Luca Misculin: «Nel Mediterraneo si decide il futuro dell’Europa»

Il giornalista de Il Post sarà ospite oggi della libreria Nuova Rinascita dove dialogherà con la collega Laura Fasani e racconterà del suo ultimo lavoro
La Porta d'Europa di Mimmo Paladino a Lampedusa
La Porta d'Europa di Mimmo Paladino a Lampedusa
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Si intitola «Mare Aperto. Storia umana del Mediterraneo Centrale» ed l’ultimo libro di Luca Misculin, giornalista de Il Post, e che oggi sarà ospite della libreria Nuova Rinascita dove, in dialogo con Laura Fasani, racconterà di questo lavoro a cui ha dedicato un paio di anni. Misculin al Post dal 2013, si occupa in particolare di politiche europee e di questioni legate alle migrazioni; per scrivere «Mare Aperto» ha anche passato una settimana sulla Geo Barents, nave di Medici Senza Frontiere che soccorre i migranti proprio nel Canale di Sicilia. Da quella esperienza è nato anche il podcast «La Nave».

Com’è nata l’idea del tuo libro?

L’idea nasce da una convinzione semplice: il quadrato di mare tra Sicilia, Malta, Tunisia e Libia è un punto di osservazione privilegiato per capire il Mediterraneo. Un mare unico, chiuso tra tre continenti, che cambia profondamente da costa a costa, da fondale a fondale. Ci sono punti dove sembra di stare in una piscina tropicale e altri dove il fondo è così profondo da contenere il Monte Bianco capovolto. E poi c’è l’eterogeneità umana, culturale, politica. Il Mediterraneo è stato tanto un ponte quanto un muro. Il Canale di Sicilia, in particolare, è tutto questo in forma esasperata.

Cosa rende così speciale il Canale di Sicilia?

È una strettoia nella strettoia. Già il Mediterraneo è lungo e irregolare, ma qui si restringe ancora di più. Anche dal punto di vista geografico è incredibilmente vario: canyon marini profondissimi accanto a fondali bassissimi che fino a qualche decennio fa erano terre emerse. Il meteo è ancora più imprevedibile che altrove, influenzato da Sahara, Alpi e catene montuose varie. Ma anche le isole, come Lampedusa e Pantelleria, raccontano due storie opposte: la prima è una gobba di roccia calcarea, ideale per il turismo balneare; la seconda è vulcanica, difficile da raggiungere e abitare, ma con una vegetazione rigogliosa.

Luca Misculin
Luca Misculin

Il libro si occupa anche delle rotte migratorie. Che immagine restituisce questo tratto di mare?

Nel Canale di Sicilia si riflette con forza la doppia natura del Mediterraneo. È un luogo dove l’Europa cerca di costruire muri, non solo metaforici. Penso agli accordi con la cosiddetta Guardia Costiera libica, ai droni di Frontex, ai patti con la Tunisia per intercettare le barche in mare. Ma c’è anche l’altro volto: quello delle ONG che operano i soccorsi. Sono persone di ogni parte del mondo, con storie, idee, lingue diverse, che scelgono di mettere da parte le differenze per salvare vite in mare. Quando sono salito sulla Geo Barents ho incontrato uno skipper svedese in pensione, due spagnoli, una soccorritrice argentina no border, una canadese, un’algerina che parlava otto lingue. Tutti lì per lo stesso scopo.

La tua esperienza in nave è stata parte del progetto del libro?

Non era previsto, ma ha contato moltissimo. È difficile frequentare davvero quel tratto di mare: c’è un solo traghetto al giorno tra Palermo e Tunisi, nient’altro. Imbarcarsi è stato un modo per immergermi. Lì capisci quanto poco si colga stando a terra. Il tempo può cambiare in ogni momento. Anche chi, come me, si occupa da anni di migrazioni, si accorge che molte cose le capisce solo guardandole da vicino. Ho viaggiato molto: Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Sicilia, Tunisia. Solo la Libia è rimasta fuori, ma forse è stato meglio così.

Che cosa speri resti a chi leggerà il tuo libro?

Intanto spero che venga voglia di visitare quei posti. Alcuni capitoli sono pensati proprio per chi sta per partire per una settimana a Pantelleria, per esempio. Racconto un hangar militare enorme e spettacolare, visitabile d’estate, che merita una deviazione. A Lampedusa consiglio di vedere una partita di calcio della squadra locale: è un modo per stare davvero con i lampedusani, non solo coi turisti. Vorrei che il libro profumasse di mare, che facesse venir voglia di esplorare, e così di capire. Perché il Mediterraneo non è altrove: è dove viviamo. È da come lo gestiremo che si decide anche il futuro dell’Europa. Magari tutto può cominciare con un viaggio, dopo aver finito il libro.

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