Le motivazioni del processo Shalom

75 pagine in cui i giudici della seconda sezione penale del tribunale spiegano i passaggi che hanno portato a due condanne e 40 assoluzioni
SHALOM, LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
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«La disamina del corposo fronte delle accuse non può prescindere dall'individuazione della malferma linea di confine tracciabile tra l'imposizione di drastiche regole contenitive proprie di una struttura chiusa - funzionali al recupero di individui precipitati in una profonda deriva esistenziale - e il rispetto degli elementari diritti di dignità, di libertà e di autodeterminazione degli ospiti».

Lo scrivono i giudici della seconda sezione penale del tribunale di Brescia nelle 75 pagine di motivazioni del processo Shalom, chiuso con due condanne a quattro mesi e 40 assoluzioni per i maltrattamenti e i sequestri di persona all'interno della comunità di recupero di Palazzolo fondata da suor Rosalina Ravasio, anche lei finita a processo e prosciolta.

«Le dichiarazioni delle parti offese relative alle aggressioni subite si sono rivelate il più delle volte generiche, non riferibili ad autori determinati e prive di riferimenti storici precisi» si legge nella sentenza.

Sulle accuse di sequestro di persona, la Corte invece scrive: «La comunità non ha l'aspetto di un lager cinto da barriere invalicabili e inoltre vi è un continuo viavai di persone che varcano il cancello di ingresso». Capitolo diverso per le posizioni degli imputati Fucci e Belotti, condannati a quattro mesi per il sequestro di GianMarco Buonanno, figlio del procuratore capo di Brescia Tommaso ed ex ospite della struttura.

«Non può sfuggire - scrive la Corte - come l'ingresso di Buonanno in comunità abbia presentato evidenti anomalie: "un caso strano", come l'ha definito Suor Rosalina, tale da differenziarlo da tutti gli altri». Per i giudici «l'ingresso di Gianmarco Buonanno è avvenuto attraverso un espediente, una sorta di trappola escogitata per aggirare il suo dissenso. A fronte dell'inequivocabile rifiuto dell'interessato di intrattenersi all'interno della comunità, è stata perpetrata un'azione restrittiva illegale».

I giudici chiamano poi in causa il procuratore Tommaso Buonanno, indagato inizialmente per sequestro di persona nei confronti del figlio; accusa poi archiviata in fase di indagini preliminari. «Si è verificata una situazione paradossale, un vero e proprio inedito del sistema - scrivono i giudici - poiché il dottor Buonanno, portatore di un interesse processuale contrastante con quello coltivato dalla stessa procura, è diventato il titolare esclusivo dell'azione penale nel processo in cui egli aveva assunto la qualità di indagato rivestendo al contempo la posizione di teste e un ruolo gerarchico nei confronti del rappresentante della pubblica accusa in udienza».

Sull'episodio dell'ingresso in comunità del figlio secondo il tribunale: «Vi è stata una inspiegabile asimmetria tra la posizione processuale di suor Rosalina accusata di sequestro di persona e quella di altri soggetti, il dottor Tommaso Buonanno e lo psichiatra Tabaglio, che hanno recitato un ruolo non secondario». 

 

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