Comunità Shalom: un nuovo esposto e la video inchiesta riaprono il caso

La Procura indaga per presunti maltrattamenti nella struttura di Palazzolo. Assoluzione di massa nel 2018 per fatti analoghi
Comunità Shalom, la struttura di recupero di Palazzolo - © www.giornaledibrescia.it
Comunità Shalom, la struttura di recupero di Palazzolo - © www.giornaledibrescia.it
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Un film già visto. E già giudicato. Che torna sugli schermi bresciani dieci anni dopo. Con al centro della pellicola, la Shalom, comunità di recupero per tossicodipendenti con sede a Palazzolo. Sul tavolo del sostituto procuratore Jacopo Berardi è arrivato un nuovo esposto per presunti maltrattamenti sugli ospiti.

Un caso che torna sotto i riflettori dopo l’inchiesta giornalistica firmata da Fanpage e trasmessa dalla trasmissione di La7 Piazza Pulita che ha denunciato il presunto metodo violento utilizzato nella gestione quotidiana degli ospiti. Lo ha fatto attraverso i video registrati da una giornalista che si è infiltrata nella comunità come volontaria e la riproposizione di alcuni filmati dei carabinieri datati 2013 e già giudicati dal tribunale. E ancora una volta nel mirino finisce suor Rosalina Ravasio, responsabile della Shalom, già processata e assolta nel 2018 per fatti fotocopia rispetto a quelli emersi dalla video inchiesta. Mentre il Pd presenta un’interrogazione parlamentare al Ministero della Salute attraverso il capogruppo in commissione Affari Sociali, Marco Furfaro, che chiede «di fare chiarezza», suor Rosalina Ravasio si difende sui social. Attaccando. Rigetta punto per punto ogni accusa, annuncia la volontà di costituire una class action «a difesa della comunità e a tutela delle migliaia di genitori e famiglie dei nostri ragazzi e ragazze».

Il precedente

La Shalom era già finita al centro di un’inchiesta complessa, che aveva creato imbarazzo istituzionale, conclusasi con un’assoluzione di massa. Con 42 imputati, tra cui suor Rosalina Ravasio, scagionati e 35 capi di imputazione sgretolati tra il primo e il secondo grado. Anche in quel caso a fronte di decine di testimoni, che sfilando in aula giurarono di aver vissuto l’inferno - alla storia processuale la dichiarazione: «decisi che era meglio tornare in carcere piuttosto che stare lì dentro» - altrettanti raccontarono di essere stati salvati proprio grazie alla struttura.

«Tra gli ospiti di Shalom quelli che hanno compiuto un fecondo percorso riabilitativo non solo hanno prospettato uno scenario diametralmente opposto alle accuse, ma hanno fatto capire come il dissesto interiore di alcuni compagni li avesse indotti a equivocare la reale valenza dei metodi terapeutici» scrisse il presidente del collegio Roberto Spanò nelle 73 pagine di motivazioni della sentenza di primo grado ora nelle mani del pm che deve valutare le nuove accuse. Spanò specificò anche che «la disamina del corposo fronte delle accuse non può prescindere dall’individuazione della malferma linea di confine tracciabile tra l’imposizione di drastiche regole contenitive proprie di una struttura chiusa - funzionali al recupero di individui precipitati in una profonda deriva esistenziale - e il rispetto degli elementari diritti di dignità, di libertà e di autodeterminazione degli ospiti».

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