Assalto al caveau: cosa dicono i rapinatori nelle intercettazioni

Che per molti dei coinvolti l’assalto al caveau a Calcinato fosse il colpo della vita, lo si capisce bene da una delle tante intercettazioni agli atti dell’inchiesta antimafia che ha portato in carcere 30 persone.
È il 19 novembre e Massimiliano Cannattella, con Vito Mastica una delle due guardia giurate dipendenti della Mondialpol ora in cella, è in auto - sulla quale c’è una cimice - e al volante parla da solo e chiede aiuto alla mamma che non c’è più: «Ora rischiamo... mamma aiutami tu, non voglio essere cattivo però tutti sono ricchi in questa vita... i soldi, i figli... è brutto dirlo, non voglio i miliardi ma almeno che sopravvivo». Quattro giorni dopo al fratello, senza svelare nulla del piano, dice: «Se le cose vanno come dico io, mi compro la casa, hai capito?».
La ricompensa

L’assalto all’«ingegnere»
Il gip in ordinanza scrive: «Morra e Iaculli hanno nel pregiudicato Giuliano Franzè, calabrese da anni residente in Valtrompia, il loro uomo di fiducia». È lui che indica il deposito della Mondialpol da svaligiare, struttura che al telefono i componenti del gruppo chiamano «ingegnere». La banda sgominata da carabinieri e poliziotti coordinati dal sostituto procuratore Paolo Savio, in provincia di Brescia studiava e a Cerignola organizzava il gruppo di fuoco che avrebbe dovuto fare l’assalto al caveau di Calcinato programmato per venerdì 11 marzo. Dal 13 ottobre 2021 allo scorso 25 febbraio, sono stati 14 i sopralluoghi attorno alla sede dell’istituto di Vigilanza preso di mira, con i giorni dal 3 all’11 marzo che sono i più caldi.

Per sei mesi il deposito di denaro dentro viene filmato dalle spy cam comprate a San Marino consegnate alle due guardie giurate infedeli, mentre l’esterno viene analizzato via per via, metro per metro. E dagli atti spunta una mappa: ad ogni «X» corrisponde una chiusura, ovvero un’auto da dare alle fiamme per impedire l’intervento esterno. Ne volevano utilizzare 26 tutt’attorno al caveau, per un assalto che sarebbe dovuto durare tra i sei e i 12 minuti. «Così per le quattro del mattino siamo già a Cerignola» diranno i protagonisti senza sapere di essere intercettati, pedinati, ripresi dal primo giorno in cui hanno iniziato a pianificare il colpo fino al momento dell’arresto. Che scatta alle 18.10 di venerdì scorso.

Cinque minuti dopo l’ultima riunione «con Tommaso Morra - scrive il gip - che da vero capo si pone al centro di un gruppo di 13 uomini disposti a cerchio ai quali impartisce indicazioni circa ruoli e compiti che dovranno essere assolti nel corso dell’imminente assalto al caveau». In quel momento dalla Questura viene dato il «go» all’irruzione delle forze speciali «che alle 18.10 circondano il capannone di Cazzago intimando agli occupanti la resa. Dopo un primo tentativo di resistenza - si legge in ordinanza - guadagnando tempo per distruggere i cellulari e occultare le armi, il gruppo si arrende».
La mappa

Il capannone di Cazzago San Martino, ma non solo. I vertici pugliesi della banda che voleva fare il colpo del secolo alla sede della Mondialpol a Calcinato, per sei mesi hanno vissuto il territorio bresciano con Giuliano Franzè, detto «il nano», come guida per Tommaso Mora e soci che si alternavano nei viaggi dal Sud a Brescia. La pizzeria ad Ospitaletto di proprietà di Claudio Cascino, anche lui in carcere, è un riferimento costante per pranzi, cene e riunioni. A due passi dal locale c’è invece un appartamento che il gruppo prende in affitto. Per chi indaga è uno dei covi.
A dormire spesso chi arrivava dalla Puglia andava invece in un agriturismo a Marcheno. I proprietari sono amici di Franzè e - si legge in ordinanza - «su espressa richiesta del pregiudicato calabrese, non registrano i suoi sodali evidentemente per non lasciare traccia del loro transito in provincia». Sempre in Valtrompia, un altro covo della banda viene individuato in un appartamento in via Goldoni.
E poi ci sono i capannoni, quello principale di Cazzago, dove il gruppo verrà arrestato, ma anche quelli a Passirano, Paderno e Rudiano dove vengono collocate le auto rubate da utilizzare come blocchi incendiari durante il blitz. E dove, in quello di Paderno, la mattina dell’11 marzo arrivano le armi da guerra per il colpo. Poi saltato.
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