Case di comunità: in provincia di Brescia una su due è attiva

Quella di via Marconi, pronta entro fine anno, sarà dotata di tac, risonanza, mammografi e servizio di Radiologia domiciliare. Quella di Salò ha visto i lavori partire solo a gennaio dopo un iter tribolato.
Quella di Nave è aperta da tempo e lavora in sinergia con i medici di famiglia. Quella di Ospitaletto viene considerata un modello. Idem quella di Leno, che vanta pure un servizio per la Salute mentale. Altre sono in costruzione, ad esempio, in un ex asilo a Palazzolo e nel vecchio stadio di Orzinuovi. Sono le Case di comunità (Cdc) che piano piano prendono forma. Entro metà 2026 (scadenza imposta dal Pnrr che finanzia i lavori) saranno 33. Ora, tra lungaggini burocratiche e ritardi dell’edilizia, quelle attive sono 16, delle quali alcune in fase di completamento.
Rappresentano la risposta sociosanitaria a una popolazione composta da una percentuale sempre più alta di anziani e malati cronici che necessitano di essere seguiti, anzi «presi in carico», vicino a casa o, meglio ancora, a domicilio. «Con le Cdc e l’intera organizzazione distrettuale - spiega Enrico Burato, direttore sociosanitario dell’Asst Spedali Civili - intendiamo riconnettere l’ospedale con il territorio.
È una sfida irrinunciabile che impegna tutti gli attori del sistema sociosanitario. E che richiederà il giusto tempo per il suo completo compimento e un approccio culturale nuovo anche da parte del cittadino». Con l’obiettivo di colmare un vuoto - quello tra l’ospedale e la medicina territoriale - che è apparso evidente in particolare negli anni della pandemia.
Presa in carico
In linea con il Decreto 77/2022, le Cdc inaugurano un modello basato su «integrazione, multidisciplinarietà, prossimità e proattività. Un modello che - spiega - parte dalla stratificazione della popolazione in virtù delle cronicità e delle fragilità (si sta avviando per questo l’utilizzo dell’algoritmo del Frailty Index associato all’algoritmo per patologia). Fa perno sulla presa in carico della persona dal punto di vista sociale, sanitario e socio-assistenziale. Ed è orientato a implementare le attività di prevenzione favorendo, al contempo, l’appropriatezza delle cure.
Con conseguente impatto, nel tempo, sulle liste d’attesa e sugli accessi impropri nei setting ospedalieri e nel pronto soccorso». Affinché ciò possa accadere è necessario che i servizi siano a regime. «A proposito di servizi - aggiunge - tra una Cdc e l’altra possono esserci differenze in funzione dell’offerta del territorio e dei bisogni della comunità».
In generale è sempre presente il Pua (Punto unico di accesso) al quale i cittadini possono rivolgersi al fine della valutazione dei bisogni e dell’orientamento tra i servizi sanitari e sociali in sinergia con gli Ambiti territoriali dei Comuni. Ci sono, poi, gli assistenti sociali, i punti prelievo e vaccinazione, lo sportello di scelta e revoca del medico, le attività di promozione della salute, gli screening, la continuità assistenziale, gli infermieri di famiglia e comunità, il servizio di telemedicina, i consultori, gli ambulatori dei medici di famiglia (in alcuni casi), il collegamento con le Cure palliative e il dipartimento di Salute mentale e delle dipendenze. E, elemento di congiunzione con l’ospedale, i medici specialisti (di Diabetologia, Cardiologia, Geriatria, Neurologia ecc).
«Attenzione, però, le Cdc non sono poliambulatori - chiarisce -: qui gli specialisti si occupano della presa in carico dei cronici in sinergia con i medici di famiglia». In alcune Cdc dei Civili, poi, sono presenti i centri antiviolenza in collaborazione con gli Ambiti territoriali sociali dei Comuni. In tutto questo ci sono due elementi di criticità: «La difficoltà nel reperire personale sanitario, in particolare infermieri. E la complessità della struttura digitale territoriale e di telemedicina (televisite di controllo, telemonitoraggio, teleconsulto, digitalizzazione dei dati). Seppur avviata, questa attività necessita di tempi tecnici che possono essere in taluni casi un limite per la partenza di alcune iniziative e il loro consolidamento in tempi rapidi».
(Non) ospedali
Le Cdc, si diceva, mirano a favorire la presa in carico dei fragili e dei cronici (che oggi sono circa il 40% degli assistiti e assorbono oltre il 70% della spesa sanitaria) e a colmare il vuoto tra ospedale e cure primarie. Non sono l’unico nuovo servizio orientato in tal senso. Ci sono anche le Cot (Centrali operative territoriali che coordinano la presa in carico). E gli Ospedali di comunità (Odc) che ora nel Bresciano sono 4 pubblici e 3 privati accreditati e a contratto con Ats (altri 5 pubblici sono in costruzione). Hanno 20 posti letto, accolgono pazienti per un massimo di 30 giorni e garantiscono assistenza di base e infermieristica h 24.
Il medico, invece, è presente 4 ore e mezza al giorno dal lunedì al sabato.Come fa notare Burato, a dispetto del nome, gli Odc «non sono le canoniche "strutture ospedaliere": sono strutture territoriali dipendenti dai Distretti che hanno la finalità di evitare ricoveri ospedalieri potenzialmente inappropriati e di favorire dimissioni protette in luoghi idonei. A me piace immaginarli come il "reparto" a disposizione soprattutto dei medici di famiglia».
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