Medici, il 99% dice no alla quota oraria nelle Case di Comunità

Ben 770 su 776, tra coloro che hanno potuto scegliere, hanno preferito non fare cambiamenti. Il sindacato Snami: «Fino a quando il quadro non sarà chiaro è normale che si preferisca aspettare»
Solo sei medici hanno scelto di passare alla «quota oraria» - Foto Unsplash © www.giornaledibrescia.it
Solo sei medici hanno scelto di passare alla «quota oraria» - Foto Unsplash © www.giornaledibrescia.it
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Da quest’anno, in virtù dell’ultimo accordo nazionale, i nuovi medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale entrano in servizio con il «ruolo unico a quota oraria». Quelli invece già al lavoro hanno potuto scegliere, rispondendo a una richiesta inviata loro dall’Asst di riferimento, se passare alla «quota oraria» o confermare il sistema di pagamento in essere che si basa sul numero e sull’età degli assistiti, la cosiddetta «quota capitaria». Ben 770 su 776 (il 99%) hanno preferito non fare cambiamenti. Solo sei (5 nel territorio dell’Asst Spedali Civili e uno in Asst Garda) hanno detto sì al nuovo «ruolo unico a quota oraria».

Il sindacato Snami

Cosa cambia per loro? Come ci spiega Giovanni Gozio, vicepresidente del consiglio provinciale del sindacato Snami, «il ruolo unico a quota oraria, che non ha nulla a che vedere con l’ipotesi ventilata di passare alle dipendenze del Ssn, implica di dedicare 38 ore a settimana alle attività previste nella Casa di Comunità (CdC). Ore che si riducono in relazione al numero di assistiti: fino a 400 pazienti sono 38 ore, dai 401 ai 1000 sono 24 ore, dai 1001 ai 1.200 sono 12 ore, dai 1.201 ai 1.500 sono sei ore e diventano zero per chi ha più di 1.500 assistiti».

A suo avviso il «no» dei medici di base bresciani è legato a ragioni di «incertezza: attualmente non tutte le CdC previste sono aperte e non si sa come verranno normate le attività che i medici di medicina generale svolgeranno in quelle già in funzione. Si parla di vaccinazioni, presa in carico dei cronici, continuità assistenziale (ex guardia medica)... E gli spazi per gli ambulatori verranno concessi in comodato d’uso gratuito o con affitto calmierato? Fino a quando il quadro non sarà chiaro è normale che si preferisca aspettare».

La Fimmg

«Il problema vero – conferma Angelo Rossi, presidente provinciale della Fimmg (Federazione italiana dei medici di medicina generale) – è che attualmente in Regione non è ancora stato definito cosa si farà nella “quota oraria”. I colleghi già convenzionati con il Ssn prima di cambiare status ci pensano bene. O quantomeno aspettano di avere maggiori informazioni». A questa incertezza che avrebbe portato a dire «no» si aggiunge un altro aspetto: mediamente in Lombardia un medico ha 1.529 assistiti (così sostiene la Fondazione Gimbe nel suo ultimo report diffuso a inizio marzo) e, a questi livelli, «ore in Casa di comunità non se ne farebbero comunque». Detto ciò, «bene le Cdc, ma in assenza della definizione dei contenuti, rimangono dei muri».

Quanto, poi, al discorso delle ore, «basterebbe che la Regione verificasse quando entriamo nel “fantastico” Siss al mattino e quando ci disconnettiamo la sera o la quantità di prescrizioni che facciamo. Una mole di lavoro enorme – precisa –, di cui le ore di ambulatorio sono solo una pallida descrizione».

Le reti

Nelle CdC, aggiunge Rossi, «ci sono a disposizione uno o 2 studi per i medici di base ogni 50mila abitanti. Ci si riempie la bocca di parole come reti e telemedicina, ma l’unico modo per non perdere la capillarità è connettere i nostri studi con le CdC, gli specialisti, gli Infermieri di famiglia. E potenziare il Fascicolo sanitario elettronico. È ora di pensare agli strumenti, ai contenuti. Altrimenti, nelle CdC, rischiamo di passare il tempo a fare la guardia medica su pazienti che non conosciamo e che non ci conoscono, pazienti di cui non abbiamo un Fascicolo sanitario utilizzabile».

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