«Cari genitori», il coraggio di crescere (e di educare)
Oggi vorrei parlare di coraggio, quello che serve per crescere e anche per educare. Partiamo dalla parola «coraggio» che è particolare, in quanto si colloca al confine tra la forza d'animo, la capacità di agire nei momenti difficili o sfidare il pericolo se ci sono minacce e l'incoscienza dell’impulsività senza riflessione e ragionamento.
Giovani fragili, ma non rassegnati
Oggi, a dire il vero siamo un po' tutti scoraggiati, visti i tempi bui che attraversiamo. Più di noi, però, lo sono i giovani a cui sembra mancare la forza di credere nel futuro, la fiducia in se stessi e negli altri, e l'energia di battersi per cause importanti.
Ma forse non è proprio così se, come scrive Maurizio Maggiani, li troviamo «sfilare assieme agli scout nelle parrocchie» e sono «i figli della sconfitta, cresciuti da padri traumatizzati, educati nella paura, nella prudenza, nell'astensione. Eccoli lì a essere e ad agire» (La Stampa 29.09.2025)
Il coraggio che manca agli adulti
Così, nonostante siano fragili, molti erano i giovani che, insieme a un fiume di persone, in questi giorni, hanno coraggiosamente manifestato contro il genocidio, le guerre, le prepotenze di questi tempi.
Di certo, per il coraggio, però c'è bisogno di adulti coraggiosi, autorevoli, responsabili. Necessitano di padri e madri capaci di ascoltare il loro dolore, un dolore invisibile che non deve essere tenuto dentro. Perché lo sappiamo che è carente l'ascolto in famiglia. Ma anche lo sguardo sulla loro sofferenza, distratti come siamo da una quantità infinita di inviti ad essere felici e consigli volti a far nascondere le loro fragilità e imperfezioni.
Essere presenti, senza fretta
Smettiamola di volerli tutti i perfetti questi figli, accettiamo le loro angosce, riconosciamo la loro solitudine e quel sentirsi poco accettati o non considerati per quello che sono. Senza questo atteggiamento non ce la facciamo ad aiutarli a crescere e ad adottarsi di auto-compassione.
Li conosciamo poco o nulla e ancora per la mancanza di quel coraggio che serve per prendere atto delle loro debolezze piuttosto che negarle. C'è la necessità di capire, invece, quel loro malessere e l'urgenza di sapere perché si rifugiano nel mondo virtuale, prima che diventi un vero e proprio disagio.
Ed è un atto coraggioso quello che serve per ascoltare le parole non dette e osservare i gesti mancanti, come pure trovare la pazienza di sostare insieme ai figli nella sofferenza senza far prevalere la fretta di farli stare bene.
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