«Cari genitori», il coraggio di crescere (e di educare)
Cari genitori, oggi vorrei parlare di coraggio, quello che serve per crescere e anche per educare. Partiamo dalla parola coraggio, che è particolare in quanto si colloca il confine tra la forza d'animo, la capacità di agire nei momenti difficili o sfidare il pericolo, oppure se ci sono minacce, e l'incoscienza, quella degli impulsi che non hanno riflessione né ragione.
Giovani fragili, ma non rassegnati
Oggi, a dire il vero, siamo un po' tutti scoraggiati, visto i tempi bui che stiamo attraversando. Più di noi, però, lo sono i giovani a cui sembra mancare la forza di credere nel futuro, la fiducia in se stessi, negli altri, e l'energia di battersi per cause importanti.
Però forse non è proprio così. Se, come scrive Maurizio Maggiani, li troviamo a sfilare insieme agli scout nelle parrocche, e sono i figli della sconfitta, cresciuti da padri traumatizzati, educati nella paura, nella prudenza, nell'astensione. Eccoli lì a essere e ad agire.
Il coraggio che manca agli adulti
Così, nonostante siano fragili, molti sono i giovani che, per esempio, abbiamo visto in un fiume di persone nei giorni scorsi affrontare coraggiosamente manifestazioni contro il genocidio, le guerre, le prepotenze di questi tempi.
Certo, per il coraggio però c'è bisogno anche di adulti coraggiosi, autorevoli, responsabili. Necessitano sicuramente di padri, di madri capaci di ascoltare il loro dolore, un dolore invisibile che non deve essere tenuto dentro, perché lo sappiamo che è carente l'ascolto in famiglia, ma anche, direi, lo sguardo sulla loro sofferenza, distratti come siamo da una quantità infinita di inviti ad essere felici, consigli volti a nascondere le loro fragilità, le loro imperfezioni.
Essere presenti, senza fretta
Direi smettiamola di volerli tutti i perfetti, questi figli, e accettiamo le loro angosce, nonostante tutto, è la loro solitudine quella, per esempio, anche di sentirsi poco accettati o non considerati per ciò che sono. Senza questo atteggiamento non ce la facciamo ad aiutarli a crescere e ad adottarsi di auto-compassione, che vuol dire volersi bene prima di tutto.
È vero, li conosciamo poco o nulla. E sempre per quella mancanza di coraggio che serve per prendere atto delle loro debolezze piuttosto che negarle. C'è la necessità di capire, invece, quel loro malessere e l'urgenza di sapere perché si rifugiano nel mondo virtuale, e questo prima che diventi un vero e proprio disagio.
Più certo è un atto coraggioso, quello che serve per ascoltare le parole non dette, osservare i gesti che mancano, come pure trovare la pazienza di sostare insieme nella sofferenza senza far prevalere quella fretta con cui li volremmo far star bene.
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