Il rettore di UniBs, Francesco Castelli: «Non siamo fatti di transistor»

Il rettore dell’Università di Brescia riflette sul valore dei legami, della solidarietà e del senso di comunità nella vita quotidiana
Il professor Francesco Castelli, rettore dell'Università degli Studi di Brescia © www.giornaledibrescia.it
Il professor Francesco Castelli, rettore dell'Università degli Studi di Brescia © www.giornaledibrescia.it
AA

Qualità della vita vuol dire molto. È una definizione che racchiude tanti significati. E per poter fare una ragionamento completo ed esaustivo è indispensabile tenere in considerazione le mille sfaccettature che il mondo di oggi – nelle città come nei paesi – ci propone. Un mondo in cui la formazione e l’istruzione diventano giorno dopo giorno pilastri sempre più importanti per la società. Ecco perché di «qualità della vita» abbiamo voluto parlare con Francesco Castelli, rettore dell’Università degli Studi di Brescia.

L’espressione «qualità della vita» rappresenta un insieme di fattori economici, lavorativi, culturali e ambientali in un determinato contesto urbano. Ma non solo. Concorda con chi ritiene che la vivibilità di una città dipenda non solo dai servizi ma anche dalle capacità aggregative e sociali di quella comunità?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità in un sua definizione dice che la buona salute è il benessere fisico, psichico e sociale. Quindi sì, qualità della vita è un insieme di più fattori. Il benessere sociale vuol dire essere inseriti in una società e questo vuol dire avere le capacità aggregative e sociali di cui parlava. Dal mio punto di vista, oserei dire che sono forse la componenti principale.

Il rettorato dell'Università degli Studi di Brescia © www.giornaledibrescia.it
Il rettorato dell'Università degli Studi di Brescia © www.giornaledibrescia.it

Partendo da questo ragionamento, oggi quali sono a suo avviso i punti di forza di Brescia e quali i più deboli?

Brescia sta progressivamente diventando una città sempre più vissuta e credo che l’Università abbia un ruolo molto importante in questo: è un punto di forza. Allo stesso modo è un punto di forza anche il fatto che questa città offra un panorama di eventi culturali sempre più attrattivi. Rimane il fatto che Brescia è il capoluogo di una provincia molto estesa e quindi c’è ogni giorno un’entrata e un’uscita di lavoratori che riescono a vivere meno i momenti aggregativi. Comunque ritengo che Brescia sia sulla strada giusta per diventare una città sempre più attrattiva, soprattutto per i giovani. Non bisogna poi sottovalutare il trasporto pubblico: la metropolitana e, in prospettiva, la futura linea del tram rappresentano valori aggiunti, che servono alla città per evolversi e ai cittadini per viverla appieno.

Dal suo osservatorio, come sono cambiati nel tempo i giovani, anche in rapporto alla formazione universitaria?

Per fortuna i giovani cambiano. Il cambiamento è un fattore positivo. Le possibilità tecnologiche di comunicazione, le reti globali e le opportunità di viaggio hanno reso molto diverso il panorama rispetto al passato. Per quelli della mia generazione era ristretto e focalizzato sul locale. Ora i giovani di Brescia pensano a New York. Adesso l’uso della tecnologia è più invasivo e questo ha, dal mio punto di vista, delle ripercussioni sui rapporti personali. Fino a cinque o sei anni fa, prima del Covid insomma, non si prendeva nemmeno in considerazione la possibilità delle teleconferenze. Per me i rapporti personali si creano ancora stringendosi la mano e non con i messaggi. Ma so di far parte di un’altra generazione, che è cresciuta in un mondo diverso da quello attuale.

Forse ci sono più interazioni rispetto a una volta, però sono venuti meno i luoghi di aggregazione tradizionali, gli oratori, i bar, le piazze, i circoli, anche i partiti se vogliamo. La preoccupa questo?

Non so se non esistano più i luoghi o se questi luoghi non siano più frequentati. Tutti i posti che lei ha citato esistono ancora, non sono scomparsi fisicamente. È certamente una questione sociale.

Un po’ mi preoccupa perché i miei amici più intimi sono quelli che frequentavo quando avevo 20 anni, li ho conosciuti di persona e con loro ho creato legami che si sono cementati nel quotidiano. Non ho niente contro i social media e la tecnologia, ma mi piacerebbe che accompagnasse e non sostituisse. Noi siamo esseri umani fatti di psiche, di carne, di ossa, di cuore, di cervello. Non ancora di transistor: continuiamo a guardarci negli occhi. Lo vedo anche in ospedale: il rapporto col malato è ancora la cosa principale è non può essere sostituita dai computer.

La tecnologia è uno strumento indispensabile per i giovani © www.giornaledibrescia.it
La tecnologia è uno strumento indispensabile per i giovani © www.giornaledibrescia.it

A suo modo di vedere, cosa serve per avere una buona qualità della vita?

Trovare un senso nella vita e non farsela scivolare addosso: per me l’aiuto agli altri è la cosa principale e vorrei che i giovani trovassero un valore nella solidarietà. Secondo me si deve tornare a credere nel futuro e credo che le nuove generazioni ne abbiano uno radioso che le attende. Bisogna però aiutarli e non lasciarli soli. È importante ricordarsi che tutti i tunnel finiscono, anche la mia generazione ha affrontato momenti bui, la forza di credere in qualcosa in questi casi diventa la vera ricchezza.

Spesso si parla del rapporto che c’è tra ricchezza e benessere. È così stretto?

Credo che i soldi diano delle opportunità in più, questo non posso negarlo, però se diventano il fine non danno più la felicità. I soldi servono se fanno funzionare meglio la società, anche in termini di ridistribuzione delle ricchezze. È positivo se un buon imprenditore fa profitti e usa le ricchezze per sviluppare la propria industria e per migliorare il benessere dei propri lavoratori. La ricchezza aiuta, è un’opportunità, ma non può diventare l’unico obiettivo. Insomma, forse un moderno Paperon de’ Paperoni che continua a buttare soldi nel suo forziere potrebbe anche essere felice. Ma se torniamo al concetto di qualità della vita, intesa anche come valenza sociale, la ricchezza è solo un’opportunità, non il traguardo.

Nel corso degli anni cosa l’ha più aiutata a migliorare la sua qualità di vita?

Non voglio fare il buono a tutti i costi, ma devo dire che nella mia vita sono stato davvero soddisfatto di me stesso quando ho avuto l’impressione che la mia giornata era stata spesa a favore di qualcuno nella società. Possono essere i miei pazienti, i miei studenti, i miei amici o mia mamma. Io ho sempre trovato una soddisfazione intima nel momento in cui sono stato parte attiva e positiva del mondo. Forse è una risposta un po’ banale, ma è quello che credo davvero.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@Buongiorno Brescia

La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.