È Putin il vero attore decisivo del negoziato di pace

Un accordo di pace fatto al 95%, ha affermato Trump dopo l’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Incontro tenutosi nella residenza privata di Trump in Florida, dove si svolge ormai tanta parte dell’attività diplomatica e governativa del Presidente, a segnalare anch’esso la totale sovrapposizione e commistione tra pubblico e privato che ne connota l’agire politico.
Quel 5% mancante per giungere all’agognato traguardo continua però a risultare elusivo se non irraggiungibile. E non è così dissimile da quella percentuale che mancava quasi un anno fa, quando Donald Trump s’insediava alla Casa Bianca promettendo di risolvere in 24 ore il rebus ucraino. Da allora, insomma, molto poco sembra essere cambiato, se non l’impegno strenuo di Zelensky e del suo governo di compiacere il presidente statunitense, evitando di subire nuovi, umilianti maltrattamenti come quello del loro primo incontro ufficiale alla fine del febbraio scorso.
Entro negoziati che paiono essere circolari, e riportare invariabilmente alla casella del via, c’è un originario peccato dell’amministrazione repubblicana che rende ancor più difficile giungere alla pace: le immediate, ampie concessioni prospettate a Mosca, e la contestuale, ostentata volontà di disimpegnarsi dal fronte ucraino, riducendo drasticamente fin quasi ad azzerarlo il sostegno militare diretto a Kiev.
Russia is at it again, using dangerous statements to undermine all achievements of our shared diplomatic efforts with President Trump's team. We keep working together to bring peace closer.
— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) December 29, 2025
This alleged "residence strike" story is a complete fabrication intended to justify…
Se Putin era già maldisposto verso un accordo, e incline a ritenere che la prosecuzione del conflitto giocasse a favore della Russia, queste aperture statunitensi invece di spingerlo al negoziato paiono averne confermato convinzioni e certezze. Su tutte, appunto, la prospettiva che un’Ucraina priva del sostegno militare ed economico americano e vieppiù dipendente da quello di un’Europa capace solo in parte di surrogare questa defezione degli Usa non sia in grado di reggere ancora a lungo l’urto della logorante offensiva quotidiana delle forze armate russe.
Il ruolo dello zar
Perché a dispetto delle numerose concessioni ucraine e della stoica disponibilità di Zelensky a sottoporsi ormai con regolarità a questi summit con Trump, è in fondo Putin l’attore decisivo nel negoziato. Quello che in ultimo affonda sistematicamente le proposte di pace messe sul tavolo e rilancia militarmente, come nell’ennesima offensiva di ieri su Kiev, quando il silenzio delle armi costituirebbe invece indispensabile condizione propedeutica a un accordo.

La questione diventa pertanto come convincere o piegare il presidente russo. Per quanto nascosti dalle discussioni pubbliche, gli incentivi economici e patrimonialisti sono molto probabilmente centrali nel dialogo in atto e nei tavoli paralleli di discussione, che ormai coinvolgono anche il genero di Trump, il finanziere Jared Kushner.
La seconda strada, per gli Usa, è quella di tornare a esercitare massima pressione su Putin. Pressione economica, come in piccola parte è stato fatto due mesi fa quando la Casa Bianca ha imposto sanzioni pesanti sui giganti petroliferi russi, Rosneft e Lukoil. E pressione militare, rilanciando un pieno sostegno all’Ucraina e facendo chiaro a Mosca che di fronte alla sua indisponibilità a un accordo, l’amministrazione Trump potrebbe ritornare sui suoi passi e ritirare le improvvide concessioni annunciate a inizio mandato. Un’ipotesi poco realistica, questa. Che dipende in parte dalle difficoltà politiche di Donald Trump e dalla possibilità che esse ridiano voce e influenza al Congresso, e soprattutto al Senato, a un gruppo non marginale di repubblicani antirussi. Difficile però che questo necessario voltafaccia vi sia, quanto meno a breve. E probabile, altamente probabile, che il conflitto continui ancora e che altri, inutili summit seguano questo ultimo di Mar-a-Lago.
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