Meloni e le scelte per rafforzarsi

A due anni dalla vittoria elettorale ci si avvia ad attraversare una fase faticosa e comincia a spirare un venticello di elezioni anticipate
Giorgia Meloni durante la sua recente visita in Cina - Foto Ansa/Epa/Filippo Attili/Ufficio stampa Palazzo Chigi © www.giornaledibrescia.it
Giorgia Meloni durante la sua recente visita in Cina - Foto Ansa/Epa/Filippo Attili/Ufficio stampa Palazzo Chigi © www.giornaledibrescia.it
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Nella maggioranza le dispute fra Forza Italia e Lega e le difficoltà che Salvini crea spesso alla Meloni, insieme all’imbarazzo di azzurri e FdI nel Mezzogiorno, dove gli stessi governatori di destra non hanno accolto con favore l’«autonomia differenziata», fanno pensare che presto si possa arrivare ad una resa dei conti.

Meloni ha capito che, dopo essersi rifiutata di sostenere la von der Leyen, l’Italia è più debole nella ripartizione degli incarichi europei (soprattutto dei «portafogli», cioè degli incarichi tematici dei vari commissari nazionali); il rapporto sull’informazione nel nostro Paese, invece, non è un problema, perché Palazzo Chigi non ha mai avuto troppe difficoltà o remore nel rovesciare le critiche sulle opposizioni e sui «nemici dell’Italia».

I problemi concreti sono, oltre all’incarico europeo per Fitto, anche una legge di bilancio che non lascerà spazio per alcuna concessione (anzi, imporrà risparmi e sacrifici, per rientrare nei parametri); frattanto, se l’autonomia fa discutere, il premierato s’impantana e rischia di essere un problema per Meloni (la quale ha sempre cercato di dissociare il referendum costituzionale dalla sua permanenza a Palazzo Chigi, per non fare la fine di Renzi).

A due anni dalla vittoria elettorale, ci si avvia ad attraversare una fase faticosa, aggravata dalla continua «guerriglia» del leader leghista e dalla necessità di Forza Italia di far valere il peso dei centristi (così come hanno chiesto chiaramente a Tajani i figli di Berlusconi). Poiché le opposizioni stanno ancora discutendo sull’ampiezza del «campo progressista» (con Conte che non vuole Renzi, Calenda che non vuole Conte...) e poiché la maggioranza rischia, a novembre, di perdere una o due delle regioni oggi governate (Liguria e Umbria) in una consultazione che vedrà anche il centrosinistra difendere l’Emilia-Romagna, comincia a spirare un venticello di elezioni anticipate.

Finché ne parlano Renzi o Cacciari, la questione resta una discussione quasi accademica. Però, se davvero Meloni avesse l’impressione che questo possa essere il momento dell’«ora o mai più», tutto potrebbe succedere a gennaio, dopo l’approvazione della legge di bilancio.

Da una parte, i lati positivi del ritorno alle urne possono essere rappresentati da uno snellimento della coalizione (FdI-FI senza Lega), dall’orizzonte della prossima legislatura al 2030 (cioè dopo la fine del mandato di Mattarella: per la successione si parla già di Tajani, come premio per la fedeltà alla premier), oltre al rinvio della riforma costituzionale del premierato a tempi migliori e probabilmente al depotenziamento dell’autonomia differenziata (tanto, con FdI già ora primo partito del Nord e la Lega all’opposizione, quindi senza collegi uninominali sicuri e con pochi seggi in Parlamento, Salvini avrebbe ben poco spazio politico), oltre che alla maggiore coesione di una maggioranza formata solo da forzisti e partito della Meloni (il che permetterebbe peraltro a quest’ultima di non connotarsi più come l’esponente della destra estrema, lasciando quel ruolo a Salvini e Vannacci, un po’ come in Europa, dove i «patrioti» sono fuori da ogni gioco ma i conservatori no, nonostante non siano nella coalizione von der Leyen).

Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani - Foto Ansa/Ettore Ferrari © www.giornaledibrescia.it
Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani - Foto Ansa/Ettore Ferrari © www.giornaledibrescia.it

Infine, un lato positivo delle elezioni anticipate a gennaio potrebbe essere costituito dal fatto che difficilmente fra sei mesi il campo largo sarà già pronto per una prova da «fronte repubblicano». Vincere, governare senza un alleato scomodo e prenotare per un esponente della maggioranza il Quirinale: cosa ci sarebbe di meglio?

I lati negativi, però, non mancano: numericamente, la coalizione FdI-FI avrebbe un vantaggio minore su quella concorrente (centrosinistra con o senza il M5s) che metterebbe a rischio la conquista della maggioranza in entrambi i rami del Parlamento; per andare alle elezioni, poi, ci vuole un pretesto (ma se qualcuno capirà che Meloni lo cerca, eviterà di offrirglielo); infine, un’eventuale sconfitta pesante alle Regionali sconsiglierebbe l’avventura del rinnovo delle Camere.

Logorarsi, però, è a sua volta un rischio perché, se dopo due anni si capisce che qualcosa va aggiustato, figurarsi come si arriverà al termine della legislatura. Per ora, le elezioni anticipate sono un’arma che la Meloni può tenere sul tavolo, un po’ nascosta. Ma deve fare attenzione che, col tempo, non finisca per diventare scarica.

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