Autonomia differenziata e prospettive glocal

La questione delle disparità territoriali andrebbe arricchita, per permettere così di riconoscere i limiti di un dibattito incentrato solo sul confronto tra regioni
La votazione alla Camera per l'autonomia differenziata - Foto © www.giornaledibrescia.it
La votazione alla Camera per l'autonomia differenziata - Foto © www.giornaledibrescia.it
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La dibattuta legge sull’autonomia differenziata approvata dalla Camera dei deputati e il recente avvio di una raccolta firme per indire un referendum volto alla sua abrogazione sta rimettendo al centro del dibattito pubblico la questione delle differenze tra le aree geografiche del Paese.

Come ricorda la Svimez (associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) nei propri annuali rapporti, nonostante la storica persistenza e consapevolezza del problema, le disuguaglianze economiche e di welfare tra le regioni del Nord e quelle del Sud sono andate allargandosi negli ultimi anni, accentuando fenomeni critici resi evidenti dal trasferimento di residenti, soprattutto giovani, in altre regioni (dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Sud oltre 2,5 milioni di persone).

Un altro autorevole ente come la Fondazione Gimbe ha evidenziato il fenomeno della mobilità sanitaria interregionale in Italia che dopo la pandemia si è ulteriormente accentuato a causa delle profonde diseguaglianze nell’offerta regionale di servizi sanitari.

Per alcune prestazioni sanitarie (ricoveri ordinari e in day hospital, prestazioni di specialistica ambulatoriale) la migrazione da sud a nord (in particolare verso la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna) è un fenomeno strutturale che coinvolge sempre più pazienti. Sembra difficile pensare che la spinta verso l’iper-regionalizzazione delle competenze amministrative e delle politiche indotta dalla legge sull’autonomia differenziata possa ridimensionare questo tipo di fenomeni.

La questione delle disparità territoriali andrebbe in ogni caso arricchita da una prospettiva più «glocale» ovvero in grado di riconoscere i limiti di un dibattito incentrato solo sul confronto tra Regioni. Sussistono, infatti, problemi, bisogni e processi che vanno ben oltre i confini amministrativi regionali oppure che si giocano su una scala molto più piccola e locale, dove la qualità della vita è correlata alle concrete opportunità e criticità presenti, ad esempio, in una valle, in una porzione di pianura, in un comprensorio.

A tal proposito molti studi internazionali mostrano come negli ultimi decenni si è registrato un incremento delle disparità all’interno delle singole regioni (anche quelle economicamente avanzate) dove si è allargata la distanza tra aree forti e deboli, tra zone centrali e periferiche/marginali al punto da far riemergere una linea di frattura che sembrava essersi rimarginata, quella tra città e campagna. È noto che il fatto di risiedere in un piccolo centro di una zona rurale anziché all’interno di popoloso Comune di un’area metropolitana può presentare vantaggi e svantaggi che ciascuno valuta anche in base a punti di vista soggettivi che possono attribuire un peso diverso a elementi quali la presenza o l’assenza di servizi, lavoro, sicurezza, socialità, opportunità per il tempo libero, verde e contatto con la natura.

Tuttavia, esiste anche un piano oggettivo di valutazione che porta a riconoscere, anche nelle regioni economicamente più prospere, il crescente stato di sofferenza di molte aree marginali e fragili che stanno perdendo terreno sotto la spinta di fattori socio-demografici quali la denatalità, l’invecchiamento e lo spopolamento ma anche per effetto di trasformazioni spesso problematiche delle reti di welfare locale dovute a diversi investimenti e a scelte sul fronte della sanità.

Nonostante siamo immersi in una società mobile che fa delle connessioni, dei collegamenti e degli spostamenti i propri tratti caratteristici è innegabile che dai fattori tangibili e intangibili propri del luogo in cui si vive dipenda la possibilità o meno di soddisfare alcuni bisogni basilari o di esercitare alcuni fondamentali diritti (salute, istruzione, lavoro). La consapevolezza che una quota rilevante della qualità della vita dipenda da quanto offre il contesto territoriale di appartenenza ma anche dalla capacità dello stesso di creare virtuose sinergie per «ricevere» da altri livelli amministrativi (quando il «locale» da solo non può farcela) dovrebbe essere un tema centrale di una politica responsabile.

Come ha affermato in un’audizione di alcuni anni fa Piero Bassetti, primo Presidente di Regione Lombardia nel 1970, «è sbagliata ogni visione mistica del tema» perché non è necessariamente vero che ciò che è accentrato è dannoso o il contrario, è questione di individuare le giuste materie e di discriminare tra cosa si presta per essere migliorato con l’accentramento e cosa invece può essere migliorato attraverso i vari gradi di decentramento che possono arrivare fino al livello più prossimo ai cittadini.

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