Le sorti della Francia in mano agli sconfitti

Il primo turno delle elezioni legislative anticipate ha lasciato la Francia e l’Europa con il fiato sospeso: la vittoria del Rassemblement National è evidente, ma bisognerà aspettare domenica sera per capire se il partito di estrema destra riuscirà ad ottenere la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale e quindi la sicurezza di governare il Paese per i prossimi tre anni. Quel che è già certo, invece, è che a deciderlo saranno gli «sconfitti» e i loro elettori.
Per capire il motivo serve aver chiaro il funzionamento del particolare meccanismo di voto in vigore alle legislative. È il sistema maggioritario uninominale a due turni: la Francia è divisa in 577 circoscrizioni, tante quanti i seggi disponibili all’Assemblea. Ognuna, quindi, elegge un solo deputato e in ognuna concorre un candidato per partito o coalizione. Se al primo turno uno dei candidati ottiene il 50% più uno dei voti da parte di almeno il 25% degli aventi diritto, questo viene eletto immediatamente.
È il caso, per esempio, di Marine Le Pen, già sicura del suo seggio dopo aver incassato il 58%. In caso contrario, accedono al ballottaggio di domenica 7 luglio tutti i candidati che al primo turno hanno superato la soglia del 12,5% non dei voti espressi, ma del corpo elettorale della circoscrizione. Otterrà il seggio il candidato che otterrà anche solo un voto più degli altri.

Negli anni del bipolarismo, la concentrazione dei voti tra i candidati dei due blocchi portava nella stragrande maggioranza dei casi a un ballottaggio a due. Oggi, invece, la frammentazione dell’offerta politica e la crescita dell’affluenza hanno permesso a più candidati di superare la soglia per qualificarsi per il secondo turno: sono oltre 300 le circoscrizioni in cui era previsto un ballottaggio a tre, nella maggior parte dei casi tra un candidato del Rassemblement National, uno della sinistra e uno del campo macronista o dei Républicains.
Ora quel numero si è ridotto di due terzi per effetto del cosiddetto «désistement républicain»: più di 200 candidati di sinistra e macronisti qualificati per un ballottaggio in terza posizione hanno deciso di ritirare la propria candidatura per aumentare le chances di vittoria del candidato anti-Rn meglio posizionato.
In questo caso, come anche in quello dei duelli, a fare da ago della bilancia saranno gli elettori dei candidati esclusi dal ballottaggio. Diventano allora determinanti le scelte e le indicazioni di voto date dai partiti: la coalizione di sinistra ha ritirato le proprie candidature in quasi tutte le circoscrizioni dove era qualificata come terza (134) e i leader sono stati chiari nel chiedere ai propri elettori di indirizzare i voti verso chi sfida il Rassemblement National, a qualsiasi partito appartenga.
Più ambiguo il centro macronista, che ha scelto la desistenza in 82 circoscrizioni mantenendo invece le proprie candidature in alcuni triangolari dove si sono qualificati esponenti della sinistra mélenchonista considerati troppo radicali. Infine, i dirigenti dei Républicains, che hanno preso le redini del partito dopo la cacciata del presidente Éric Ciotti, hanno preferito il silenzio: nessuna indicazione di voto, nessuna richiesta di ritirare le candidature nei triangolari, una scelta in netta rottura con lo spirito del «barrage républicain», l'argine contro l’estrema destra promosso a suo tempo da Jacques Chirac.
Qualsiasi siano le consegne dei leader, però, l’esito del voto si giocherà fuori dalle sedi di partito: con o senza désistement e indicazioni di voto, saranno i singoli elettori a decidere se aderire alla logica del «voto contro» e, prima ancora, se recarsi o meno alle urne.
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