La destra francese penalizza Meloni

Non è detto che la situazione che si va creando in Francia sia il miglior viatico per il governo Meloni e, in particolare, per la premier. In primo luogo, se il partito di estrema destra francese Rassemblement national (Rn) ottenesse la maggioranza assoluta dei seggi e potesse governare (sia pure in «coabitazione» con un Emmanuel Macron indebolito nei poteri e sul piano politico) Meloni non potrebbe più vantare di essere alla guida dell’Esecutivo più forte, plebiscitato e stabile d’Europa.
Senza contare che Marine Le Pen e i suoi sono vicini a Matteo Salvini (entrambi fautori di quella che in modo un po’ forzato potremmo chiamare «internazionale nera» formata da Donald Trump, Vladimir Putin, Viktor Orbàn e i tedeschi di Alternative für Deutschland), contrari agli aiuti all’Ucraina (se non apertamente filorussi), fuori dalla maggioranza che governerà l’Europarlamento e la Commissione europea (oltre ad essere euroscettici se non anti Ue).
L’opposto, rispetto ad una Meloni che cerca a tutti i costi di entrare nel grande gioco europeo, che aderisce a Nato e all’alleanza pro Ucraina con forza e che non gradirebbe certo il protagonismo della leader di un raggruppamento della destra europea concorrente al suo (Rn non è nei Conservatori, ma in Identità e democrazia - Id - nel quale ha circa la metà dei seggi di tutto l’eurogruppo).

Va aggiunto, per sovrammercato, che un Macron non tanto disponibile verso la Meloni sull’immigrazione sarebbe sostituito da un Bardella durissimo, che dall’Italia non farebbe passare neanche uno spillo, figurarsi un migrante. Non è neanche detto che la Francia non faccia saltare il banco anche sul debito pubblico, dato che il programma di Rn è molto costoso, ma il paese transalpino non se la passa bene neanche ora. Una crisi del debito europeo provocata da atteggiamenti e atti francesi destabilizzanti per l’eurozona e per i bilanci affogherebbe per primi noi italiani, che siamo già sotto procedura d’infrazione per l’extradeficit.
In quanto alla tutela degli interessi italiani, è difficile pensare che - tolto di torno non Macron, ma il macronismo - per il nostro paese andrebbe meglio: avremmo a che fare con un nazionalismo gallico estremo. Tutto questo può piacere solo a Salvini, già retrocesso col suo partito al terzo posto della coalizione di governo dietro a Forza Italia e Fratelli d’Italia, ma non alla Meloni, che dovrà fare buon viso a cattivo gioco e magari adattarsi al nuovo ordine Le Pen-Trump.
Il leader leghista non vede l’ora di rivendicare con coerenza di aver sempre sostenuto le destre americane e francesi, mentre la Meloni ha dovuto trattare con Biden, von der Leyen e financo Macron (con qualche screzio di mezzo): insomma, potrebbe affermare che lui aveva detto e capito dove sarebbe andato il mondo, mentre la leader di Fratelli d’Italia negoziava nei palazzi europei.
Un brutto colpo per l’immagine sempre più forte di una Meloni che tende ad accentrare sulla sua persona non solo la comunicazione del governo, ma a identificarsi - da sola - con Esecutivo e maggioranza. L’instabilità in Francia o la vittoria degli oppositori del Rn metterebbe invece la nostra premier nella condizione di chi assicura la governabilità del suo paese ed esercita una leadership, entrando anche - sia pure fra tante difficoltà e qualche autogol - nel giro europeo.
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