La virata a destra del governo Barnier

Molto macronismo, poca discontinuità e scelte conservatrici
Le proteste contro il nuovo esecutivo francese guidato da Barnier - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Le proteste contro il nuovo esecutivo francese guidato da Barnier - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Molto macronismo, molta destra, poca discontinuità: la squadra proposta dal neo-primo ministro francese Michel Barnier e ufficializzata sabato sera all’Eliseo ha poco del «governo di unità nazionale» evocato da Macron all’indomani delle elezioni legislative di luglio. E sembra lontano anche dai requisiti di «equilibrio, rappresentatività e pluralismo» promessi dallo stesso Barnier dopo la nomina. Dei 39 nuovi ministri e sottosegretari, la metà proviene dal centro macronista, un terzo dalla destra repubblicana di cui lo stesso Barnier è esponente: «Il governo più a destra dai tempi di Sarkozy», concordano gli analisti. A fare da foglia di fico dando una parvenza di pluralismo è il nuovo guardasigilli Didier Migaud, ex socialista, unico ministro di area centrosinistra.

Colpisce anche l’assenza di «pezzi grossi»: l’impressione è che, più che l’esperienza, la notorietà e la posizione gerarchica all’interno dei partiti, abbia contato nella scelta la fedeltà al presidente e al primo ministro. Lo mostra bene la nomina al dicastero dell’economia del 33enne Antoine Armand, macronista della prima ora, il più giovane a ricoprire il ruolo nella storia della Quinta Repubblica: fino a pochi giorni fa sconosciuto ai più, si troverà a gestire alcuni dei dossier più delicati, a partire dai livelli altissimi di deficit. Ma è probabile anche che molti dei «big» i cui nomi circolavano nel totoministri abbiano preferito tenere le mani libere (e stare alla larga da un’esperienza di governo che si preannuncia travagliata) anche in vista di una possibile candidatura alle presidenziali del 2027: si parla degli ex premier Philippe e Attal, dell’ex ministro dell’interno Darmanin, del presidente dei deputati Républicains Wauquiez.

L’unica new entry di peso è il neo-ministro dell’interno Bruno Retailleau, capogruppo dei Républicains al Senato. Noto per rappresentare l’ala più conservatrice del partito neogollista e per aver contribuito a inasprire la tanto discussa legge sull’immigrazione approvata lo scorso gennaio, la sua nomina sembra voler strizzare l’occhio al Rassemblement National di Marine Le Pen, che ha in mano il destino dell’esecutivo pur senza farne parte: se decidesse di unire i propri voti a quelli della sinistra in occasione del voto di una mozione di sfiducia, il governo cadrebbe immediatamente.

Per ora, la nomina di Retailleau e la creazione di una delega alla «sicurezza nel quotidiano» non sono bastati a sedurre i lepenisti: il presidente del Rassemblement National Jordan Bardella ha parlato di un «governo senza futuro», che «fa rientrare il macronismo dalla finestra attraverso pietosi giochetti politici». Parole simili le ha utilizzate anche Eric Ciotti, ex presidente dei Républicains cacciato per essersi alleato con Le Pen, il quale ha annunciato domenica di abbandonare definitivamente il partito ormai «compromesso con il macronismo».

Ma le minacce alla tenuta del nuovo governo arrivano anche dall’interno: gli esponenti dell’ala sinistra di Renaissance, il partito di Macron, che già avevano storto il naso alla nomina di Barnier, hanno manifestato disappunto per la composizione dell’esecutivo. Lo stesso Garbiel Attal, oggi capogruppo del partito all’Assemblée nationale, non ha nascosto «disaccordi di fondo» con alcuni neoministri, soprattutto sul fronte dei diritti civili. Aggiungendo una promessa che suona anche come avvertimento: «Il partito resterà fedele ai suoi valori e libero nelle sue prese di posizione».

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