La nuova coalizione repubblicana di Trump

Tra i democratici è già partita una riflessione autocritica che, come da copione, tende a virare verso l’autoflagellazione
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Una vittoria chiara e un mandato inequivoco a governare, questo hanno ottenuto Donald Trump e i repubblicani. Che beneficeranno nel biennio 2025-’27 di un governo unitario dove avranno il controllo di Presidenza, Senato e Camera. Un allineamento di poteri completato dalla chiara maggioranza conservatrice che vi è oggi alla Corte Suprema.

Tra i democratici è già partita una riflessione autocritica che, come da copione, tende a virare verso l’autoflagellazione. Per alcuni il partito si è spinto troppo a sinistra, alienando elettori moderati; per altri è vero il contrario. I primi dati di cui disponiamo - basati su exit poll con un margine d’errore non insignificante - possono aiutarci in alcune riflessioni preliminari. E a relativizzare in parte la portata della sconfitta democratica, sottolineandone al contempo gli aspetti più importanti (e, per i democratici, problematici). In grande sintesi, due elementi possono mitigare il loro pessimismo; e due debbono invece allarmarli.

Innanzitutto, non si è trattato di una sconfitta così ampia da prefigurare un riallineamento elettorale. Trump vincerà il voto popolare con 2/3 punti percentuali in più rispetto a Harris; il totale dei suoi voti rimarrà lontano da quello di Biden del 2020, anche se in alcuni swing states va decisamente meglio rispetto a 4 anni fa. Swing states dove il suo vantaggio su Harris oscilla a sua volta tra 1 e 4 punti percentuali, una differenza che può in teoria essere colmata nel prossimo ciclo elettorale. In secondo luogo, il voto conferma la natura altamente polarizzata del contesto politico statunitense. Anche se alcuni commentatori sostengono bizzarramente che l’America esca da questo voto meno divisa, le principali faglie di frattura rimangono profonde e all’apparenza strutturali, limitando la mobilità di voti e garantendo a ciascuna parte una solida base da cui ripartire.

È vero che Harris è andata meno bene del previsto tra l’elettorato femminile, ma la differenza di genere - tra come votano uomini e donne - rimane amplissima, tra i 20 e i 25 punti percentuali. Così come rimane profonda la frattura determinata dal livello d’istruzione - circa 30 punti - tra chi ha un titolo di studio post-secondario (e vota a maggioranza democratico) e chi non lo ha (e si orienta sui repubblicani). Un dato questo ancora più acuto quando incrociato con razza e genere. Tra le donne bianche laureate e gli uomini bianchi non laureati c’è uno scarto di 50 punti. Polarizzazione, infine, confermata dall’altro indicatore fondamentale: la densità abitativa. Nelle aree metropolitane, più popolate, Harris prevale di poco più di 20 punti, in linea con il risultato di Biden; in quelle meno popolate, Trump ottiene un +30, riportando le lancette allo stesso risultato della sua prima vittoria nel 2016. E però, dentro questa miriade di dati, due non possono che preoccupare i democratici. Il primo riguarda il voto delle minoranze, quella afroamericana e, soprattutto, quella latina. In questa, lo scarto a vantaggio dei democratici scema radicalmente: era stato 65 a 32 nel 2020 e appena 52 a 46 quest’anno.

Un cambiamento particolarmente marcato tra gli uomini ispanici, dove Trump ottiene addirittura 12 punti in più di Harris. Il secondo sono i giovani under 30, che da qualche decennio votano a larga maggioranza democratico (anche se tendono a recarsi alle urne meno rispetto alle altre fasce di età). Qui lo scarto a favore dei democratici si è più che dimezzato tra il 2020 e il 2024, da +24 a +11. E sono ancora una volta gli elettori maschi a fare la differenza, quelli bianchi sì, ma anche i latinos, che si spostano molto verso i repubblicani. Le spiegazioni possono essere plurime e, laddove intrecciate anche con il solito parametro dell’istruzione, rimandano tra le altre ai risultati scolastici decisamente migliori delle donne, misurati in termini di iscrizione all’università oltre che percentuale e tempi di laurea.

È troppo presto per dire che si sta formando una nuova coalizione multietnica e maschile, capace di conferire ai repubblicani un vantaggio strutturale e di erodere uno dei pilastri delle passate maggioranze democratiche. Ma al di là della sconfitta, questi dati costituiscono un campanello di allarme a cui i democratici dovranno assolutamente prestare attenzione.

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