Trump atto secondo: se il tycoon vede l’Europa come sua avversaria

Nessuno sa come saranno i rapporti di Trump con l’Unione europea, ma può aiutare ricordare alcune scelte rispetto alla politica euroatlantica operate durante il suo primo mandato
Un matrioska di Trump e una di Putin - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Un matrioska di Trump e una di Putin - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Trump atto secondo. E adesso cosa succede? Una domanda che in molti nelle cancellerie europee si stanno ponendo. Certo non aiuta il ricordo del primo atto trumpiano tra tensioni, dazi e incomprensioni.

Nessuno sa come saranno i prossimi quattro anni di presidenza di Trump ed è difficile fare previsioni sul rapporto con l’Unione europea. Certo può aiutare ricordare alcune scelte rispetto alla politica euroatlantica operate nel corso del primo quadriennio alla Casa Bianca, così come qualche indicazione può essere dedotta dai legami politici nel Vecchio continente tra i trumpisti ortodossi e quelli d’opportunità.

Il primo leader europeo a complimentarsi sui social per la vittoria è stato il premier ungherese, Viktor Orban, il più euroscettico tra i Ventisette. Certo ha avuto l’accortezza di aspettare la certezza della rielezione di Trump e non è scivolato come fece l’allora primo ministro sloveno Jansa (non proprio un europeista) che, nel pieno della notte elettorale di quattro anni fa, si complimentò con lui per aver battuto Biden.

Ad ogni modo, in contemporanea con Orban si sono prodigati a complimentarsi Matteo Salvini, l’olandese Geert Wilders, lo spagnolo Santiago Abascal e la tedesca Alice Weidel. Insomma il gotha dei Patrioti per l’Europa, più i neonazisti di Alternativa per la Germania. Si tratta di esponenti politici che hanno Bruxelles nel mirino, da sempre contrari ad una maggiore integrazione europea e che nei mille giorni di conflitto in Ucraina hanno mostrato una certa insofferenza per il sostegno militare a Kiev, non per un pacifismo ispirato alle parole di Papa Francesco, ma in ragione di legami più o meno dichiarati con Mosca.

Come loro, Trump non ama l’Europa. Ma per ragioni che potremmo definire complementari. Nella sua visione basica mercantilista un’Europa unita e forte è innanzitutto un avversario economico e quindi la politica dei dazi è la risposta più adeguata per contrastare un possibile rivale nel mercato globale (senza dimenticare che anche l’euro può essere un pericoloso antagonista del dollaro).

Non solo, la complessità della politica del Vecchio continente che spesso risulta indigesta per gli europei figurarsi per uno come lui che è l’emblema della polarizzazione politica e di una società divisa in due e in cui non c’è spazio per sfumature e mediazioni. Tra il 2017 e il 2021 aveva eletto a propri nemici prediletti la cancelliera tedesca Angela Merkel – in quanto leader della potenza-guida dell’Unione – e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, mentre aveva elogiato l’amico «Giuseppi» Conte (quando era nella sua versione giallo-verde, cioè primo ministro uscente di un esecutivo che si era appena frantumato ma che poteva essere considerato il più populista d’Europa).

Nei suoi primi quattro anni da presidente Donald Trump ha mostrato una maggiore dimestichezza con gli autocrati più che con i capi di Stato e di governo delle democrazie occidentali. Ha incontrato a Helsinki Putin, ha avuto tre bilaterali con il cinese Xi e ha visto tre volte il nordcoreano Kim Jong Un (dopo averlo definito «basso ciccione», in risposta ad un non meno lusinghiero «vecchio lunatico»), ma anche Rodrigo Duterte e Jair Bolsonaro. In buona sostanza i bulli delle relazioni internazionali; gente che come Trump considera il mondo come un grande saloon dove vale solo la legge del più forte. Il che da un punto di vista teorico è indubbiamente vero, lo sosteneva già Tucidide ai tempi della guerra del Peloponneso e lo ha ripreso Hobbes; ma è proprio per questa ragione che sono nate le organizzazioni internazionali: per mitigare l’anarchia che caratterizza le relazioni tra Stati.

Nella sua prima presidenza Trump ha preso di mira l’Europa, voleva mandare in pensione la Nato e ha attaccato a più riprese le Nazioni Unite. Questo ci porta al tema forse più delicato: la guerra in Ucraina. Trump ha promesso in campagna elettorale di poter porre fine al conflitto «entro 24 ore» e si è sempre vantato delle sue relazioni con Putin. Non è una buona notizia per l’Europa (e probabilmente lo è ancora meno per Zelensky) e questo perché l’accordo che il rieletto presidente americano potrebbe fare con l’inquilino del Cremlino ha tutta l’aria di non tener conto dell’Europa.

Non è chiaro fino a dove la Federazione russa voglia spingersi verso ovest e non è per nulla scontato cosa Trump sarebbe disposto a concedergli sopra la nostra testa. Una pace negoziata Usa-Russia con gli europei fuori dalla porta non può essere sicuramente una buona pace per noi. Questo manderebbe in soffitta anche una certa idea di Comunità atlantica e della Nato. Forse a quel punto l’Europa sarebbe davvero costretta a pensare alla propria difesa comune con buona pace di tutti i sovranisti che ieri hanno salutato la vittoria di Trump come una piccola picconata all’Unione europea.

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