In Liguria il Campo largo ci riprova. Sognando il tris

Manca poco più di una settimana alle elezioni regionali in Liguria (27 e 28 ottobre), sfida delicata e importante sia perché l’uscita di scena del governatore Giovanni Toti è stata anticipata per questioni giudiziarie, sia perché la scelta del candidato di destra è stata faticosa (alla fine è caduta sul sindaco di Genova, Marco Bucci), sia perché la Liguria era la roccaforte del centrosinistra (tranne la parentesi 2000-2005) fino a quando Toti l’ha espugnata nel 2015, sia perché il Campo largo Pd-M5s ci riprova (nel 2020 la formazione era più o meno la stessa, senza alcuni centristi, ma la sconfitta fu dura), sia - infine - perché Elly Schlein e i suoi contano di fare filotto nelle tre regioni al voto in questi due mesi (Liguria a fine ottobre, Emilia Romagna e Umbria a novembre) mentre la scorsa volta ne conquistarono solo una.

Ci sarebbe, a dirla tutta, anche la questione irrisolta Renzi-Conte, che in realtà è la scusa per una prova di forza del capo dei Cinque stelle che vuole imporre al Pd il «perimetro dell’alleanza», esercitando un potere d’interdizione che potrebbe finire per sfasciare il Campo largo.
Del resto, fino a che non cambiano i rapporti di forza, i voti per andare a Palazzo Chigi in caso di vittoria del centrosinistra largo li ha la Schlein, non Conte (che non ha mai sopportato di aver perso la presidenza del Consiglio, considerando Draghi e Meloni quasi «usurpatori»), almeno fino a quando il M5s riuscirà a sorpassare i Democratici (cosa che - nel medio termine - appare pressoché impossibile). Eppure, l’assenza di candidati renziani potrebbe far male al centrosinistra largo, perché Italia viva è depositaria di pochi voti che però potrebbero rivelarsi determinanti. Alle regionali del 2020 non c’era partita, con Toti che ebbe il 56,1% e le sue liste il 56,5%, soprattutto perché la lista del presidente (composta sostanzialmente da esponenti del suo partito) ebbe addirittura il 22,6%, piazzandosi al primo posto; il secondo classificato (Sansa, Pd-M5s) ebbe il 38,9% mentre Massardo (Italia viva-Psi-Più Europa) ebbe il 2,4%.
A Genova, però, Toti si fermò al 51,7%, Sansa salì al 43,4% e Massardo ebbe il 2,9%. In pratica, se ci fosse stato un «campo larghissimo», Toti avrebbe vinto con 15 punti di scarto nella regione ma «solo» col 5,4% di vantaggio nel capoluogo di regione (dove, peraltro, la lista Cambiamo-Toti ebbe il 24,9% contro il 22,6% preso nell’intera regione).
A Genova si votò di nuovo nel 2022. Alle politiche la destra ebbe il 34,6%, contro il 50,8% (più una quota dell’8,1% ottenuto dal Terzo polo Azione-Iv) dell’attuale coalizione pro Orlando (il candidato del centrosinistra alla regione Liguria), mentre alle comunali Bucci vinse col 55,5% dei voti (ma nelle sue liste c’erano anche candidati del Terzo polo) contro il 38% del candidato di Pd, centrosinistra e M5s. In pratica, oltre all’aiuto dei centristi contò molto la figura di Bucci, che nel capoluogo di regione ebbe successo e che ora dovrà trainare la coalizione di destra alle regionali, in una città che una volta era «rossa» e che in parte lo è ancora.
Nel 2024, infatti, alle europee la destra ebbe il 34,4% dei voti contro il 31,1% del solo Pd, il 9,6% di Avs, il 4,4% di Azione e il 12% del M5s (in totale, 57,1% senza contare la quota di Più Europa nella lista con Italia viva). In buona sostanza, persino a Genova tutto si gioca sulla popolarità dei contendenti principali (Bucci e Orlando).
Sulla carta, i numeri sono favorevoli al Campo largo: in regione, dopo il 40,4% a 56,6% del 2020, si è passati alle politiche a un rapporto di 43,5% (più almeno metà del 7,4% del Terzo polo) a 42,2% e, alle europee, al 47,9% (più parte del 3,7% di Iv-Più Europa) del Campo largo contro il 44,1% della destra.
In pratica, sulla carta Orlando dovrebbe avere il 47-48 contro il 44 di Bucci, ma il sindaco di Genova può trainare la sua coalizione soprattutto nel capoluogo; restano due incognite, inoltre: che fine farà quel 2% di voti o poco più dei renziani e cosa accadrà al M5s, sempre debole alle amministrative (7,8% nel 2020, ma 12,7% alle politiche e 10,2% alle europee).
Insomma, tutto si gioca sul filo del rasoio, col contorno di una battaglia per il posto di primo partito della Liguria: nel 2020 fu la lista di Toti (22,6%, seguita dal Pd al 19,9%), nel 2022 FdI (24,1% contro il 22,7% del Pd) e nel 2024 ancora FdI (26,8% contro il 26,3% del Pd). Tutti si giocano molto: se la destra perde la regione che governava è un brutto segnale; se a perdere sarà il centrosinistra, Schlein dovrà cambiare qualcosa nel rapporto col M5s.
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