Ursula e le sfide per il futuro economico

Giovedì 18 luglio il voto dell’Europarlamento ha confermato von der Leyen quale Presidente della Commissione. Ecco cosa prevede il suo programma economico
Ursula von der Leyen - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Ursula von der Leyen - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Giovedì scorso è stato un giorno importante per l’Unione Europea. Innanzi tutto per il voto dell’Europarlamento, che ha confermato Ursula von der Leyen quale Presidente della Commissione. Inoltre, sul piano economico e con riferimento all’Eurozona, per la periodica riunione (che avviene ogni sei settimane) del Consiglio direttivo della Bce.

Sul primo punto sono ormai noti i risultati delle votazioni, con le relative polemiche riguardo al voto espresso dai rappresentanti dei partiti italiani della maggioranza di Governo (voto negativo per due di loro). Sul rischio che ciò possa danneggiare il nostro Paese nei futuri equilibri europei si è già scritto molto. Concentriamo piuttosto l’attenzione sul programma economico illustrato da von der Leyen.

L’enfasi posta sul concetto di competitività è giustificata non solo dagli sviluppi commerciali ed economici mondiali – con la crescente pressione da parte di grandi Paesi come Cina e Stati Uniti – ma anche dalla volontà di «difendere» in qualche modo l’industria europea, anche nei confronti di scelte strategiche ancora una volta ribadite come quella del «Green Deal»: è giusto avanzare con la «transizione verde, digitale, sociale» ma senza (par di capire) penalizzare troppo i settori produttivi (specie industria e agricoltura).

La competitività – per cui siamo anche in attesa dello specifico Rapporto che Mario Draghi sta ultimando – può essere mantenuta e rafforzata, oltre che «semplificando la legislazione per le imprese» o prospettando un «Fondo europeo per la competitività» (ma con quali e quante risorse?), solo con un volume adeguato di investimenti, privati e pubblici. Su questo, bene che la Presidente abbia ribadito l’urgenza di «un mercato unico dei capitali», ma un limite – ovvero una cautela eccessiva, senz’altro determinata dalle posizioni contrarie di alcuni Paesi come la Germania – è non aver ribadito la necessità di un nuovo debito comune europeo (come quello lanciato con il Ngeu).

Tra le proposte illustrate nel suo discorso all’Europarlamento non mancano spunti interessanti, come la «Unione europea della salute» e il «piano casa»; su un altro versante, non è giunta inattesa la sua presa di posizione sulla «Unione europea della difesa»: mettere in comune spese o produzioni militari può portare a guadagni di efficienza. Tuttavia, riteniamo di aggiungere che l’aumento della spesa per gli armamenti (che sul piano morale è «una pazzia», come più volte ammonito da papa Francesco) dovrebbe integrarsi con una strategia politico-diplomatica che renda l’UE protagonista attivo negli equilibri geopolitici mondiali, portatore di una visione «alta», in particolare nelle relazioni con il «Sud globale».

La presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde
La presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde

Sul secondo punto, dal Consiglio direttivo Bce non sono emerse (come atteso) novità importanti. Dopo la prima riduzione di giugno (che faceva seguito ai forti aumenti del 2022-23 ed alla stasi a partire dal settembre 2023), i tassi di policy sono rimasti invariati. La Presidente Lagarde ha tenuto a ribadire che nuove eventuali riduzione dei tassi, in autunno, dovranno essere coerenti con un «approccio guidato dai dati», ossia dalle prospettive dell’inflazione (che si manterrà un po’ sopra al target del 2% fino all’anno prossimo), dall’evoluzione dei prezzi dei servizi, dalla dinamica salariale e da altre macro-variabili.

Questa prudenza si scontra peraltro con le analisi della stessa Bce, circa un nuovo rallentamento della crescita economica nel secondo trimestre e rischi futuri «orientati al ribasso». La speranza degli operatori è che non siano frustrate le attese (degli esperti) di due ulteriori riduzioni dei tassi entro quest’anno. Sta di fatto che in tutto il periodo post-Covid l’economia europea, pur evitando vere e proprie recessioni (eccetto che per l’economia più grande, quella tedesca), è cresciuta troppo lentamente, molto meno di quella Usa. Quest’ultima continua a mostrarsi competitiva e dinamica, anche sulla frontiera tecnologica (Ia e dintorni).

Il principale suo limite è l’elevato debito, privato e pubblico; quest’ultimo, cresciuto anche per gli ingenti pacchetti fiscali decisi da Biden, ha pure alimentato un’inflazione difficile da ridurre. Debito che, se dovesse essere eletto Trump alle elezioni di novembre, crescerebbe ulteriormente, a causa dei promessi (ulteriori) tagli di imposte.

Dal punto di vista di noi europei, la promessa più preoccupante di Trump è l’imposizione di dazi del 10% su tutti i prodotti da tutto il mondo (che sulle importazioni dalla Cina salirebbero al 60%). Dazi che penalizzerebbe molto anche l’Italia, considerato il nostro surplus commerciale con il Paese nord-americano; quindi l’UE deve essere pronta a rispondere in modo efficace. Più in generale, di fronte a queste sfide globali e tenuto conto dell’esito delle elezioni europee – con l’avanzata dei movimenti populisti e nazionalisti – dobbiamo sforzarci di salvaguardare quello spirito europeista che per molti decenni ha garantito pace e benessere nel nostro continente.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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