Famiglie, persone e musica tra accordi e disaccordi

Se il creato è armonia e matematica, le persone non potrebbero esser note musicali? Fosse vero, assonanze e consonanze, accordi e disaccordi, armonie e disarmonie avrebbero una spiegazione fisica più che metafisica.
Una possibilità esiste, visto che alcune persone ci «risuonano dentro», da subito, in un accordo perfetto, altre ci sfiorano appena, altre ancora le percepisci in forte dissonanza ed infine, quelle rare, senza sapere come, ci completano in totale, commovente, armonia. Potremmo paragonare alcuni al Do: stabili, rassicuranti come solide radici. Le persone luminose e solari, che accolgono e guidano, ricordano il Sol.
E poi le persone in La minore: malinconiche, profonde, struggenti. Alcuni di noi sono pieni di diesis, altri di bemolli: varianti sottili, capaci di cambiare completamente il senso di una giornata o di una conversazione. Siamo composizioni abbozzate sul pentagramma (o «pentadramma»?) di uno spartito in cerca d’autore. Tempo, tono, ritmo, tutto da creare. Cresciamo tentando scale, inciampando sui tasti sbagliati, alla ricerca di un continuo, armonico accordo con noi stessi e con il mondo che ci circonda.
A volte ci troviamo incastrati in progressioni che non portano da nessuna parte ripetendo gli stessi errori come riff ossessivi finché un incontro inaspettato non ci cambia d’un tratto la tonalità. E poi le tensioni, quei silenzi che non sono pause ma strappi e quegli intervalli che sembrano non risolversi mai. Nella mia famiglia la musica ha avuto sempre un posto importante. Chi più chi meno, con successo o in una placida mediocrità, ci siamo seduti tutti al pianoforte. Mutismi selettivi e porte sbattute con violenza trovavano una ricomposizione nel risolutorio picchiettio delle mie dita sulla tastiera nero/avorio, nel tentativo, rigenerante, di riaccordare l’anima.
August Forster ha raccolto le mie stecche e le mie lacrime adolescenziali ed è lì che, forse, ho imparato a leggere le emozioni delle persone: uno sguardo sfuggente, un tono più acido diventavano variazioni da riportare in scala. Nel conflitto tutte le note iniziano a suonare in modo sbagliato, a scontrarsi tra loro, in una cacofonia che richiede un atto magico: la riarmonizzazione.
Viviamo dentro partiture che si sovrappongono: famiglie, amori, amicizie, ognuna in provvisoria ricerca di un equilibrio eufonico che tende, quasi sempre, alla ricomposizione: che non è assenza di conflitto ma la magica capacità di contenerlo e di dargli una forma nuova. Un buon compositore non elimina le note strane, le dissonanze ma le lascia esistere, vivere, anche se fanno male; senza, la musica sarebbe piatta e monotonale. Piano piano le mette al posto giusto, un po’ come le parole.
Forse l’esistenza è un’immensa sinfonia incompleta tesa verso uno sconosciuto sforzo compositivo finale ed ognuno di noi è una nota speciale che cerca il proprio posto sullo spartito. Alcuni si credono fuori scala, altri pensano di essere l’unico suono possibile; la realtà è che nessuno suona bene da solo. Abbiamo bisogno gli uni degli altri perchè la nostra musica abbia un senso. In quei rari istanti in cui le nostre imperfezioni si incastrano fra loro, vediamo nascere qualcosa che nessuna teoria potrà mai spiegare del tutto una verità che, come la musica, più bella non si può spiegare. Si ascolta. Si sente.
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