Cosa ci insegna (o forse no) il caso di Sibilla Aleramo

«Egregia signora, mi perdoni la brutale franchezza ma ho bisogno di dirglielo subito per non trattenere il cuor suo materno molto addolorato in angosciosa aspettativa. Il suo Walter purtroppo non vuol saperne della madre sua. Ho avuto parecchie occasioni d’intrattenermi con lui sull’argomento ma ho sempre trovato in lui ostilità, repulsione. Egli nulla sente, e credo, scusi il dolore che le procuro, nulla sentirà mai per lei. È debito nella mia coscienza non trastullarla con vane speranze».
Siamo nel 1909, Riccardo Mariotti, che scrive, è uno dei tanti tutori incaricati di «restituire» un figlio alla madre e una madre, la scrittrice Sibilla Aleramo, ad un figlio. Non accadrà e la triste storia diverrà un famoso romanzo intitolato: «Una donna». Inutili i tentativi di recuperare la relazione: la legge non tutelava né l’uno né l’altra. L’alienazione genitoriale era legittimata, sotto il cupo mantello della potestà maritale che tutto toglieva alle donne e tutto lasciava ai mariti.
È storia di oggi, invece, seppur a leggi cambiate, come questa profonda frattura del legame genitoriale sembri avere una spaventosa recrudescenza. Incomprensibile in un sistema giuridico che fa di tutto perché ciò non accada, con interventi mirati e grande, grandissima, attenzione. La questione si fa più evidente all’interno dei conflitti separativi, laddove queste dinamiche ritorsive trovano terreno fertile e facilmente inglobano i figli dentro a conflitti di lealtà e lotte fra «stirpi» familiari. Il minore finisce per far propri i sentimenti di ostilità di un genitore nei confronti dell’altro, addirittura, spesso emulandone parole e gesti.
A volte il rifiuto può essere determinato da comportamenti negativi da parte del genitore rifiutato, va detto, ma di certo c’è che i figli coinvolti in queste dinamiche hanno elevate probabilità di andare incontro a seri problemi psicopatologici nella prima età adulta.
Nell’animo del genitore alienante il figlio non è mai riconosciuto come una persona a sé, con bisogni, paure e diritti propri. Il legame affettivo alla base è sempre, inevitabilmente, di natura simbiotica ed è per questa ragione che il minore viene inglobato facilmente dentro le problematiche narcisistiche del genitore alienante.
Soluzioni efficaci ci sono, ma vanno messe in campo con estrema celerità, più tempo passa più la relazione diventa irrecuperabile come accadde alla Aleramo. «Invano abbiamo provato a sentire come una realtà il fatto ch’io sono sua madre e lui è mio figlio. Un solo momento abbiamo avuto: la prima sera del ritrovamento; un singhiozzo profondo nel petto d’entrambi, abbracciandoci, e subito appresso, seduti di fronte, avviando un discorso qualunque, a frasi mozze, un sorriso in cui ci specchiammo a vicenda, in cui nel suo largo viso d’uomo già maturo io vidi affiorare e tremare, sorridendo timida e innocente, quella che so essere l’anima mia, la qualità nativa inalterabile dell’anima mia. Un solo momento. Poi, tutto della vita ci ha fatti immediatamente apparire su due piani differenti, con l’impossibilità di qualsiasi scambio verace: incomunicabili, nonostante il sangue, nonostante l’uguale bontà della natura umana».
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