Gesti e scelte per disinnescare la violenza

L’aggressività offusca i contenuti: la storia lo insegna da sempre, ma sembriamo automi condannati a ripeterla all’infinito
Tel Aviv attaccata dai missili iraniani
Tel Aviv attaccata dai missili iraniani
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«Dalla mia parete pende un lavoro giapponese di legno, maschera di un cattivo demone, laccata d’oro. Con senso partecipe vedo le vene gonfie della fronte mostrare quanto sia faticoso essere cattivi» (B. Brecht)

C’è un video che gira sui social, mandato in onda dalla CNews France, che mostra alcuni passeggeri, pare francesi, in fuga da Tel Aviv, uscire dal gate avvolti nella bandiera israeliana che con tifo da ultrà rivolgono parole aggressive contro una delegazione pro-Palestina, in attesa dell’attivista europarlamentare, franco-palestinese, Rima Hassan (che pare, dopo la detenzione abbia pure dovuto viaggiare chiusa nella toelette del velivolo per evitare gli insulti degli altri passeggeri).

Venti di guerra ci sferzano le coscienze dentro le nostre comode vite interconnesse. La violenza offusca i contenuti e la storia ce lo insegna da sempre, ma noi sembriamo automi condannati a ripeterla all’infinito.

Il clangore delle armi è la colonna sonora delle epoche, l’odore del sangue, il fluido sacro di ogni forma di odio. Il primo assassinio della storia del mondo? Coinvolge due fratelli. Abbiamo voglia di parlare di «collasso della ragione», di «mancanza di senso profondo della finitezza dell'essere umano» quando la nostra stessa esistenza è intrisa di violenza.

È violento il distacco del feto dalla madre, è violenta la disperazione dell’uomo nudo ed inabile a qualsiasi cosa, espulso dall’utero materno, è violenta la sua fine, la sua fame, la sua stessa sopravvivenza, persino quello che chiamiamo amore, se amore non è, ha spesso un volto violento.

La paura governa i nostri istinti ma con la paura ci controllano e senza volerlo smarriamo la bussola interiore e deleghiamo ad altri la scelta fra ciò che è giusto o no. La paura crea nuove armi, la paura crea la risposta, la reazione, l’escalation. «Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore solo una volta», disse un giudice coraggioso prima di essere ucciso. Si ottiene più sicurezza tramite la paura? No. Si ottiene più giustizia tramite l’odio? No.

Cosa, allora, può davvero cambiare questo nostro stupido modo di incedere come burattini eterodiretti sulla linea del tempo? Forse basterebbero tanti piccoli atti individuali di rottura. Singole e singolari scelte che conducano ad una diversa visione, un diverso sguardo. Utopistico? Ovvio.

Ma essere utopisti è sinonimo di debolezza o di coraggio? Per fortuna questa domanda non se la devono essere posta neppure per un attimo tanti uomini e donne della storia che hanno avuto la forza di restare sintonizzati con la missione della propria anima e senza violenza, con la diplomazia, l’empatia, la parola, hanno cercato di tenere vivo un respiro di umanità.

Penso a Folke Bernadotte, aristocratico svedese, primo mediatore ufficiale dell’Onu in Palestina che, non pago di aver salvato migliaia di deportati dai campi nazisti durante la Seconda guerra mondiale, nel 1948 cercò di fermare la guerra tra Israele e gli Stati arabi, proponendo soluzioni coraggiose finendo assassinato, a Gerusalemme, da un noto gruppo estremista ebraico.

Marshall Rosenberg, padre di questa rubrica, che negli anni 2000 in Israele e nei Territori Palestinesi formò alla CNV insegnanti, genitori, educatori ed ex combattenti. «Ogni conflitto nasce da bisogni non ascoltati», andava sostenendo. Le sue sessioni sono rimaste nei cuori di chi l’ha incontrato più di mille trattati. Non ha cambiato il mondo ma ha cambiato lo sguardo di alcuni e tendere la mano fa sempre la differenza perché in fondo, come dice Brecht, deve essere davvero faticoso essere cattivi.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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