Fare mediazione familiare con Leibniz e Russell

Non c’è niente da fare, accidenti, come un lampo accecante Lui arriva, il Leibniz ed il suo: «Le monadi non hanno finestre». Un concetto per me strabiliante e complesso al tempo stesso. E torna ogni volta che osservo le coppie e le loro vite avvicendarsi nella mia stanza, torna perché dentro a questo universo di «monadi senza finestre», una coppia che nasce è un miracolo, un miracolo di straordinario coraggio e altrettanto lo è quando collide, perché, a dispetto Tuo, mio caro Leibnitius, in quel momento tutte le finestre si rivelano e si spalancano, eccome se si spalancano. Già essere monadi accoppiate significa cercare di armonizzare gli infiniti mondi dentro di noi: la morale comune, quella familiare, la religione, l’ateismo, le idee sulla vita, sulla famiglia, i caratteri, i desideri, le inclinazioni, i sogni, le aspettative, le interazioni, le tentazioni, gli infiniti noi che avremmo potuto essere, tutto il materiale di cui è fatta la vita e la nostra personalità.
Quando la coppia esaurisce il suo esistere spalanca le finestre perché tutto entri ed il brillamento finale di una coppia che scoppia sembra attrarre infiniti esseri interessati alla deflagrazione, come le falene alla luce. Nel momento esistenziale più delicato di due persone che si sono amate, improvvisamente ammutolite dal dolore e dimentiche del loro codice amoroso segreto, tutti parlano al posto loro e soprattutto tutti sanno perfettamente cosa è meglio per loro. Lo sanno con certezza i parenti, gli amici, a volte anche i figli. Si moltiplicano i suggeritori occulti dietro alle quinte. Forse il compito più arduo del mediatore in mediazione, è proprio quello di ripulire la monade coppia dalle scorie del naufragio affinché resti concentrata a proteggere il piccolo tender sul quale, si sono messi in salvo, si spera, i figli.
Giubbotto salvagente fosforescente al petto, spazzolino doppio, doppio cambio, da riportare pulito, eternamente in spola da una riva all’altra, a week end alternati, qualche giorno infrasettimanale, quindici giorni in estate, Natali e Pasque divise. Quanto zelo nel decidere con precisione maniacale i giorni che spettano all’uno o all’altro, soprattutto se improvvisamente si traducono in denaro da non dare. Quanto zelo nel cercare di far sembrare l’altro genitore improvvisamente incapace di esserlo o di farlo, denigrandolo a tal punto che amare l’uno o l’altro diventi per i figli una colpa da espiare. Tutto questo perché accade? Ce lo spiega Bertrand Russel in «Matrimonio e Morale».
«L’amore tra l’uomo e la donna e l’amore tra genitori e figli sono i due fatti centrali della vita emotiva. Ma l’amore dei genitori per i figli soffre della degradazione dei genitori nel reciproco amore. I figli, frutto della gioia e dell’adempimento amoroso, richiedono un amore sano e robusto, più secondo natura, più semplice, diretto e naturale ed anche più altruistico e disinteressato. Questo amore non può essere dato da genitori affamati, impazienti che si gettano addosso ai fanciulli indifesi, avidi di poche briciole di quel cibo negato loro nel matrimonio. Essi atrofizzano così l’animo dei bambini e gettano le fondamenta per turbamenti identici nella nuova generazione. Ma Temere l’amore è temere la vita e chi teme la vita è già per tre quarti morto».
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