L’Europa applaude Draghi ma resta ferma e divisa

Cassandra aveva ricevuto il dono della preveggenza ma le sue profezie non venivano credute. Mario Draghi sembra seguire quel destino, con una variante: le sue previsioni sul futuro della Ue vengono anche credute, anzi lodate e citate con molto rispetto e ammirazione, ma non messe in pratica: di fatto ignorate.
Ignorato è stato il report sulla concorrenza e la competitività che l’anno scorso, su richiesta di Ursula von der Leyen, l’ex premier italiano presentò tra molti applausi e quasi nessun effetto pratico. Terminata le cerimonie si torna al «business as usual», quello che sta conducendo l’Unione europea al suo declino nel contesto mondiale.
La conferenza «One year after»
Le formule che Draghi usa sono sempre molto affilate, e fanno titolo sui giornali: come di recente al Meeting di Rimini aveva detto che è ormai «evaporata l’illusione» che il potere commerciale della Ue potesse comportare anche il protagonismo geopolitico; così ieri a Bruxelles ha aggiunto che «l’inazione minaccia non solo la nostra competitività ma anche la nostra esistenza». E a questa affermazione ha fatto seguito una lunga analisi per concludere che la situazione rispetto ad un anno fa è peggiorata, che i governi non si rendono conto della gravità dell’ora, che servono risultati in termini di mesi, altro che anni futuri, che i tempi straordinari comportano impegni straordinari se vogliamo confrontarci con gli Stati Uniti e la Cina sulle nuove tecnologie, sull’IA, sull’energia, ecc.

Cosa chiede Draghi? Ancora una volta di agire insieme per progetti comuni e, se troppi ostacoli vengono frapposti dagli interessi nazionali, se la folle regola dell’unanimità che ossifica l’Unione non si riesce a superare, che si vada avanti con la «cooperazione rafforzata» tra un gruppo di Stati, e quindi ci si decida una buona volta a mettere in piedi quella «Europa a più velocità» tante volte teorizzata ma mai praticata dopo l’euro e Schengen.
Le debolezze dell’Ue
Vale la pena di leggerlo per intero il discorso di ieri di Draghi, come valeva la pena studiare il rapporto dell’anno scorso. Ma ciò che in quelle pagine non c’è scritto è che in Europa manca una forte volontà politica perché i suoi leader sono mediocri o in crisi, perché il motore franco-tedesco che presiedette ai passaggi essenziali della costruzione dell’Ue e dell’unione monetaria, è oggi drammaticamente impallato e perché la debolezza dei governi fa da riscontro al venire avanti di forze estremiste anti europee che raccolgono il consenso tra masse elettorali impaurite che guardano al futuro con crescente angoscia.
Sarà stato l’«ideologismo» del Green Deal, sarà la paura delle ondate migratorie, sarà la guerra che ci circonda e ci lambisce... Tutto questo a Bruxelles produce un effetto crescente di paralisi e nei governi – come ricorda Draghi – un maggiore «egoismo», e non potrà essere certo la debole commissione di Ursula von der Leyen, sostenuta da una maggioranza troppo divisa, a cavalcare la «rivoluzione» che servirebbe.
Però consoliamoci: nella sua storia recente l’Europa si è costruita soprattutto nei momenti peggiori, quando le sfide erano più ardue. Perché non dovrebbe accadere ancora una volta? Dare retta a Cassandra, per cominciare.
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