Draghi all’Europa: «L’inazione è una minaccia per la sovranità»

L'affondo dell’ex premier su dazi e riforme. Ipotesi debito comune tra alleanze di Stati
Mario Draghi a Bruxelles - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
Mario Draghi a Bruxelles - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
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Il peccato originale dell’Europa ha un nome preciso: auto-compiacenza. A un anno dalla scossa lanciata dal podio di Palazzo Berlaymont, Mario Draghi è tornato a Bruxelles con un monito che, ancora una volta, non concede attenuanti. Non è soltanto la «competitività» del continente a vacillare: in gioco c’è la «sua stessa sovranità», ha scandito guardando in volto Ursula von der Leyen che, prima d’incassare il controcanto dell’ex premier, ha esibito i passi compiuti «con spirito d’urgenza» nel suo nuovo corso e quelli - molti - ancora da fare.

L’ex numero uno della Bce ha tuttavia assunto il medesimo registro usato tre settimane fa sul palco del Meeting di Rimini, grave e chirurgico, nel mettere in evidenza «la lentezza» di un’Europa che in dodici mesi ha raccolto soltanto una manciata delle 383 raccomandazioni contenute nel suo report - dall’energia fino alla difesa - rassegnandosi a guardare da lontano la corsa di Stati Uniti e Cina e alimentando la «crescente frustrazione» dei cittadini. «A un anno di distanza l’Europa è in una situazione più difficile. Il nostro modello di crescita si sta sgretolando, le vulnerabilità aumentano e non c’è un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno».

I numeri

Condensata in poche frasi di un discorso durato oltre mezz’ora, l’amara diagnosi di Draghi è sostenuta da numeri che non lasciano scampo: un debito pubblico destinato a salire di dieci punti in due lustri - fino a sfiorare il livello monstre del 93% del Pil -, fabbisogni d’investimento cresciuti da 800 a 1.200 miliardi l’anno, con 510 miliardi a carico delle finanze pubbliche. Troppo, ha denunciato l’ex premier, per un’Unione che resta prigioniera dell’inerzia dell’unanimità tra i Ventisette, nascondendosi dietro «scuse per la propria lentezza» e spacciandola talvolta persino «per rispetto dello Stato di diritto».

Al contrario, l’imperativo è accelerare: «spingere sulle riforme», mobilitare «capitale privato», «abbattere tabù di lunga data» e ottenere «risultati entro mesi, non anni». Puntando anche, ha osato l’ex premier, sulla «cooperazione rafforzata tra Paesi volenterosi» nei settori cruciali come la difesa. Una via che, ha rilanciato, potrebbe aprire anche all’inedita ipotesi di debito comune tra alleanze di Stati - se a 27 non fosse possibile - per finanziare progetti d’interesse collettivo.

Il terreno d’azione è vasto: energia, intelligenza artificiale, aiuti di Stato e fusioni. Ma le stoccate più dure toccano il commercio e il Green deal. «Gli Stati Uniti hanno imposto i dazi più alti dai tempi dello Smooth-Hawley», ha osservato Draghi, sottolineando come la dipendenza da Washington sulla difesa abbia costretto l’Europa a un’intesa alle condizioni dettate da Donald Trump.

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