Come i droni hanno cambiato le regole della guerra

Negli ultimi cinque anni si è assistito ad un'evoluzione sostanziale dei sistemi d’arma capaci oggi di ridefinire i parametri della deterrenza convenzionale. Dai cieli del Nagorno-Karabakh a quelli dell’Ucraina fino a Gaza
Un soldato osserva un drone durante un'esercitazione - Foto Ansa/Epa/Martin Devisek © www.giornaledibrescia.it
Un soldato osserva un drone durante un'esercitazione - Foto Ansa/Epa/Martin Devisek © www.giornaledibrescia.it
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Nell’autunno del 2020, sui cieli del Nagorno-Karabakh, regione lungamente contesa tra Armenia e Azerbaijan, i droni turchi cambiarono in poche settimane l’esito di una guerra che da decenni sembrava bloccata. Questi sistemi d’arma non erano più solo strumenti per osservare dall’alto, ma vere e proprie armi capaci di colpire con precisione, neutralizzando sistematicamente le postazioni difensive armene e rendendo obsolete in poche settimane strategie militari consolidate da decenni di guerra di trincea. Già durante l’Amministrazione Obama i droni divennero lo strumento centrale della strategia antiterrorismo americana.

Il riferimento è soprattutto al Pakistan, Yemen e Somalia, luoghi nei quali vennero intensificate le targeted killings, operazioni mirate contro leader jihadisti, non senza sollevare ampi dibattiti etici e giuridici sulla legittimità dell’assassinio extragiudiziale.

Il cambio

Oggi però il paradigma operativo è radicalmente mutato: se durante l’era Obama i droni rappresentavano uno strumento per operazioni chirurgiche contro obiettivi individuali in contesti asimmetrici, il conflitto del Nagorno-Karabakh ha dimostrato la loro efficacia in guerre convenzionali tra Stati, dove possono alterare gli equilibri di potenza regionale.

L’invasione russa dell’Ucraina ha ulteriormente amplificato questa trasformazione, elevando i droni a strumento di diplomazia coercitiva e proiezione geopolitica. Mosca ha impiegato sistematicamente i sistemi iraniani contro infrastrutture civili, perseguendo una strategia di logoramento della resilienza sociale ed economica del paese. Dal canto suo, Kiev ha sviluppato una capacità indigena di droni navali e terrestri che ha consentito attacchi alla flotta del Mar Nero e a obiettivi in territorio russo, ridefinendo i parametri della deterrenza convenzionale.

Ad oggi i droni ucraini sono responsabili di oltre due terzi delle perdite di equipaggiamenti russi e ciò ha spinto Ursula von der Leyen a dichiarare che l’Ue si impegnerà a «contribuire a trasformare l’ingegno ucraino in vantaggio sul campo di battaglia e in una industrializzazione congiunta», con finanziamenti pari a sei miliardi di euro.

Cosa è il muro di droni

Non solo un’alleanza tecnologica, ma un investimento strategico che dovrebbe portare a realizzare parte del nuovo sistema di difesa Ue sul suo fianco orientale, realizzando ciò che la stessa Presidente della Commissione, con una metafora fortemente evocativa, ha indicato in un «muro di droni», da opporre al «muro di mine russo».

È la cosiddetta linea Surovikin, un sistema difensivo composto da chilometri di campi minati, trincee, fossati anticarro e fortificazioni realizzato lungo il fronte che attraversa le regioni di Zaporizhzhia, Donetsk e Luhansk. Rappresentazioni e immagini che richiamano quella «cortina di ferro» che secondo Winston Churchill nel 1946 aveva iniziato a dividere l’Europa in due parti contrapposte.

Oltre alla retorica, in paradossale contrapposizione alla tecnologia e alla capacità rapida e silente dei droni di colpire in ogni dove, sembra di essere ritornati drammaticamente a una dimensione bellica fatta di uomini e mezzi che ancora si scontrano sul campo di battaglia.

Un uomo ucraino aziona droni FPV (First Person View, Visuale in Prima Persona) - Ansa © www.giornaledibrescia.it
Un uomo ucraino aziona droni FPV (First Person View, Visuale in Prima Persona) - Ansa © www.giornaledibrescia.it

Era dalla Seconda guerra mondiale che non si vedevano battaglie di mezzi corazzati su vasta scala come sul teatro ucraino e l’occupazione di Gaza City, secondo le stime degli analisti, richiederebbe l’impiego sul campo di decine di migliaia di soldati, tra 50 e 100.000 uomini, affiancati da unità corazzate, fanteria, ingegneri militari e reparti di polizia, con un impegno continuativo di riservisti, in un conflitto casa per casa, nel quale sì i droni, come quelli prodotti dalla Elbit Systems per missioni di combattimento in ambienti complessi e urbani, saranno massicciamente impiegati dalle truppe israeliane, ma l’effettivo controllo del territorio, nella concretezza tattica, sarà fisicamente demandato ai soldati.

Le conseguenze

Una situazione che presenta indubbi rischi di lunga durata, con elevatissimi costi umani, politicamente divisivi e con probabile impossibilità di una «soluzione rapida», nonostante tutta la tecnologia impiegabile.

E proprio in Medio Oriente attori non-statuali come Hezbollah, gli Houthi e Hamas hanno acquisito sofisticate capacità nell’uso dei droni, spesso grazie all’ausilio iraniano, utilizzandoli per sfidare la superiorità militare di eserciti regolari e proiettare la propria potenza asimmetrica oltre i confini nazionali.

Un veicolo aereo senza pilota (UAV) vola sopra la capitale ucraina durante gli attacchi russi nel centro di Kiev - Ansa © www.giornaledibrescia.it
Un veicolo aereo senza pilota (UAV) vola sopra la capitale ucraina durante gli attacchi russi nel centro di Kiev - Ansa © www.giornaledibrescia.it

Gli attacchi degli Houthi alle navi commerciali nel Mar Rosso e l’uso alcuni di droni artigianali da parte di Hamas durante l’operazione Al-Aqsa Flood dell’ottobre 2023 dimostrano come questi sistemi abbiano democratizzato l’accesso a capacità di proiezione di forza precedentemente appannaggio esclusivo degli Stati, ridefinendo le dinamiche della conflittualità contemporanea e minando il tradizionale monopolio della violenza fisica legittima, proprio dello Stato.

I droni, oggi l’ultima frontiera tecnologica della guerra, segnano una frattura nella storia dei conflitti: capaci di rovesciare equilibri tra Stati, come in Ucraina o nel Nagorno-Karabakh, divengono al tempo stesso strumenti di proiezione asimmetrica per gruppi terroristici. La «rivoluzione militare» che incarnano resta però ambivalente: promessa di deterrenza e di potenza per chi ne dispone, ma anche fattore di instabilità globale, poiché abbassa le soglie d’accesso alla violenza organizzata, in un contesto nel quale convivono il ritorno del passato e l’anticipazione del futuro.

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