Tutti i detrattori dell’autonomia differenziata

Autonomia differenziata sembra una di quelle figure fantasiose della geometria teorica, come l’Apeirogono, il poligono con un numero infinito di lati, che sfuggono ad una rappresentazione concreta, ma esistono.
L’autonomia differenziata appare divisiva, ma la realtà va oltre la definizione, perché le contrapposizioni che già provoca sono trasversali, persino frastagliate se si calcolano le irritazioni e i dubbi che suscita sia nella maggioranza di destra sia nell’opposizione di sinistra.
Le posizioni
A destra dovrebbero metterla in pratica, la riforma, ma hanno non pochi tentennamenti, a cominciare dai presidenti delle Regioni del Sud. Gli altri, a sinistra, stanno raccogliendo firme per cancellarla, ma molti vorrebbero solo modificarla, perché l’autonomia regionale ha sostenitori anche da quella parte, come i presidenti di Regione che a suo tempo avevano appoggiato la riforma del Titolo V. Poi ci sono gli esponenti del mondo imprenditoriale, economico e sociale, che hanno più volte manifestato posizioni variegate. Confindustria ha al suo interno chi ritiene sbagliata la legge Calderoli ma non disdegnerebbe un’autonomia più articolata, ha chi la giudica fonte di sprechi e debito pubblico, e chi infine si chiede come si possano affidare a una ventina di amministrazioni assai diverse, per risorse e dimensioni, alcune competenze generali e strategiche come energia, ambiente, infrastrutture, trasporti e il commercio con l’estero.
Articolate, ma in prevalenza non favorevoli, le posizioni dei sindacati e di una buona parte delle organizzazioni di categoria. Compatta nella contrarietà, invece, appare la Conferenza dei vescovi italiani: il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi non ha mai nascosto le sue preoccupazioni, il suo vice, il vescovo Francesco Savino, è assai più tagliente, a suo giudizio l’autonomia creerebbe due Italie, una prospera e l’altra abbandonata a se stessa, un Far West.
Ha voglia Luca Zaia, governatore veneto, di spiegare che questa è una lettura fuorviante. Zaia, con il collega lombardo Fontana e il friulano Fedriga, sono stati i primi a cercare di forzare i tempi, chiedendo di avviare subito le trattative per le nuove deleghe previste, creando un fronte leghista e offrendo così ad Antonio Tajani e a Forza Italia le ragioni per frenare e per sostenere che bisogna almeno attendere di stabilire i tanto dibattuti Lep, i livelli essenziali di prestazione che la legge prevede ma che finora ha tralasciato di fissare. Al Meeting di Rimini, un’altra voce che teoricamente dovrebbe essere a favore, ha invece sollevato pesanti dubbi, quella del presidente della Fondazione per la sussidiarietà Giorgio Vittadini che ha definito la nuova legge un rischio per il Paese, «già così diseguale». A mancare, spiega l’esponente di Cl, è «una visione complessiva del Paese, dal Sud al Nord».
Sul fronte del Pd è passata forse inosservata una lettera di alcuni esponenti dell’area moderata (gli ex senatori Enrico Morando e Giorgio Tonini) che pur criticando il progetto Calderoli, sostengono come l’autonomia sia comunque meglio del centralismo, e proprio per questo il centrosinistra abbia cambiato la Costituzione, ormai già vent’anni fa. Vero – ha replicato un altro senatore del Pd, Alessandro Alfieri – ma il meccanismo creato dalla Lega ha poco da spartire con l’autonomia reale e mette in campo una sorta di moltiplicazione di centralismi, a livello regionale.
Se la critica non venisse da quella parte, molti in Fratelli d’Italia la condividerebbero. Il partito di Giorgia Meloni punta ad un forte potere centrale, in mano al premier. Se Autonomia e Premierato sono due facce dell’alleanza, siamo a metà del guado e le correnti avverse non sono poche.
Sul possibile referendum
Chi forza e chi frena, nella speranza di un’attuazione graduale dell’autonomia, magari di una correzione nelle singole trattative fra Stato e Regioni che comunque, una per una, dovranno passare dal voto in Parlamento. E c’è chi si augura, anche a destra, che il referendum arrivi a togliere il problema dal tavolo. Ma sul versante del referendum le cose non sono poi così chiare. Il rapido risultato raggiunto dalle opposizioni nel raccogliere le firme previste in pochi giorni d’agosto, conferma che il tema interessa. Ma un conto è raccogliere adesioni e un conto sarà poi portare più di metà degli italiani alle urne. Sempre che si vada a votare.
Il ministro Calderoli, volpe dei cavilli, ha messo da tempo un paio di trappole sulla strada di chi punta al referendum. Ricorda quando la Corte costituzionale bocciò una richiesta di referendum proprio da lui avanzata sulla Legge Fornero perché il quesito era disomogeneo e con troppi contenuti, e perché era una legge collegata ad una manovra di finanza pubblica e quindi non ammissibile a referendum. Esattamente come per l’Autonomia differenziata. Secondo Calderoli, seguendo gli stessi criteri la Corte costituzionale avrà qualche difficoltà a dare via libera. A meno che non ritenga il collegamento con il bilancio solo «formale», perché non contempla alcuna spesa, ma sarebbe un distinguo destinato a far discutere.
Anche sulla richiesta da parte delle Regioni ci sono disquisizioni legali aperte: può impugnare la nuova legge una Regione a statuto speciale, come la Sardegna, visto che la riforma riguarda quelle a statuto ordinario? Sarà comunque difficile, aggrappandosi solo ai cavilli, dire di no alla richiesta di milioni di cittadini per una valutazione popolare diretta.
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