Anziani e fragili, la legge non basta

L’invecchiamento della popolazione pone sempre di più il problema dell’assistenza e della cura di un numero crescente di anziani fragili e richiede un ripensamento del welfare territoriale per dare risposte a lungo termine ai bisogni delle persone, soprattutto di quelle non autosufficienti. L’importante novità degli scorsi mesi è stata l’approvazione della nuova legge sulla non autosufficienza, un provvedimento atteso da molti anni sul quale vi è stato un largo consenso ma che rischia di essere attuato con lentezza e forse ridimensionato.
L’Istat stima che tra il 2040 e il 2045 la popolazione anziana raggiungerà il 33 per cento del totale, con delle importanti ricadute sulle famiglie e sul sistema di assistenza.
Un aspetto già oggi particolarmente problematico è il costante aumento delle persone non autosufficienti. Il 33 per cento di over 65 e il 48 per cento degli over 85 ha gravi patologie croniche. 3,8 milioni di over 65 presentano una grave riduzione dell’autonomia nelle attività quotidiane di cura personale e nella vita domestica. Il 6,9 per cento degli anziani (circa un milione) ha bisogno di assistenza o ausili perché non autonomo nella cura della propria persona.
Di fronte a questi bisogni anche l’Unione Europea si è mossa con una nuova strategia, l’European Care Strategy, che raccomanda agli Stati membri di elaborare dei piani d’azione nazionali per migliorare la qualità e l’accessibilità dei servizi, cercando di alleggerire lo sforzo (finora quasi esclusivo) delle famiglie nell’attività di assistenza. In Italia (la nazione più anziana d’Europa) nei primi mesi del 2024 si concluso l’iter dell’annunciata riforma del settore, prevista dal PNRR. Un provvedimento di cui finora si è parlato poco fuori dai network degli esperti e che ha il suo punto centrale in una nuova idea di domiciliarità che cerchi di uscire dalla logica della singola valutazione e della singola prestazione.
Inoltre, vengono fissate le tappe per approdare a una prestazione universale (composta da una quota fissa monetaria e da un «assegno di assistenza») finalizzata all’acquisto di servizi. Un altro aspetto importante è il sostegno alle famiglie che si servono delle Assistenti familiari (le cosiddette «badanti», in calo e difficili da inserire in contratti stabili) puntando a una loro professionalizzazione, con un’attenzione anche alle competenze e alla condizione degli operatori socioassistenziali che si misurano con patologie particolari come l’Alzheimer.
Allo stato attuale rimane il non indifferente nodo del cospicuo finanziamento che la riforma richiede per andare a regime; aspetto tutt’altro che secondario viste le ristrettezze delle leggi di bilancio. Allo stesso tempo sarà importante l’integrazione e l’armonizzazione dei nuovi dettami con gli interventi previsti dalle singole regioni. Nel complesso si tratta di una riforma attesa che, almeno sulla carta, avvicinerebbe l’Italia al welfare delle principali nazioni europee. Fino ad oggi il welfare italiano ha inteso la domiciliarità come delega ai singoli nuclei familiari chiamati al «fai da te» per rispondere ai bisogni di cura dei propri anziani. Si tratta ora di passare in maniera convinta alla fase di attuazione a fronte della crescita dei bisogni e delle richieste da parte degli «assistiti» e delle loro famiglie che non possono continuare ad attendere.
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