Meno nati e più anziani, ecco come Brescia si avvicina al suo calo demografico

Secondo un’analisi di Confindustria nel 2050 gli ultranovantenni saranno raddoppiati rispetto a oggi e il crollo delle nascite avrà conseguenze per scuola, sociale e mondo economico
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Brescia verso la glaciazione demografica
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Non chiamatelo inverno demografico. Non è una stagione e non c’è nulla di ciclico nell’invecchiamento della popolazione e nel crollo delle nascite che sta colpendo l’Italia e (in maniera più lieve) la provincia di Brescia. «Tematiche da mettere al centro dell’attenzione, perché è una priorità occuparci di questo – spiega il presidente di Confindustria Brescia Franco Gussalli Beretta –: sia per il futuro delle aziende che per capire l’orizzonte sul quale il nostro territorio presto si affaccerà».

Intendiamoci, che l’età media si allunghi è certo una buona notizia, ci mancherebbe. Il problema è il non arrivo di forze fresche, le conseguenze (per la tenuta del sistema Paese nel suo complesso) non saranno di facile gestione. Una lettura molto interessante di quello che ci aspetta, anche dal punto di vista economico, arriva dalla ricerca «La demografia bresciana: un’analisi sulla dinamica della popolazione a Brescia dal secondo dopoguerra al 2080» realizzata dal Centro studi di Confindustria. I residenti nel Bresciano, a inizio 2024, sono 1.262.271, un dato destinato a calare. Basti pensare che i nati nel 2023 hanno toccato il minimo storico: 8.607. Il decennio del baby boom (1962-1971) è un lontanissimo ricordo.

Le ragioni del calo

La ricerca di Confindustria Brescia, non potrebbe essere diversamente, si focalizza appunto anche sulle questioni economiche. Ma partiamo da un assunto: la glaciazione demografica, nel Bresciano, colpirà in maniera meno pesante. Da qui al 2080 il numero di residenti calerà di circa il 6% mentre, in Italia, scenderà di oltre il 22%.

Il crollo dei nati si inserisce, si legge nella ricerca, all’interno di un movimento declinante iniziato nei primi anni dello scorso decennio (dal 2021 i nati sono stabilmente al di sotto delle 9mila unità e dal 2018 risultano inferiori a 10mila), su livelli molto distanti dalla media del periodo 2001-2010 (poco meno di 12.700 nati all’anno). Una possibile lettura: «La "grande recessione" e la successiva crisi dei debiti sovrani sembrano aver provocato conseguenze non solo sui principali aggregati economici del territorio (valore aggiunto, ricchezza delle famiglie, disoccupazione, ecc.), ma hanno ricoperto un ruolo non secondario anche sulla demografia, andando ad alimentare un sempre più diffuso e persistente clima di incertezza economica e di sfiducia fra le famiglie, che, unitamente ad altre componenti di carattere culturale e sociale, si è inevitabilmente tramutato in una minore propensione alla genitorialità».

Le prospettive per la popolazione

Vediamo allora le prospettive numeriche sul fronte popolazione. Si legge nel report di Confindustria, «l’ultima rilevazione con un segno "più" sull’anno precedente si avrebbe a inizio 2044; in questo ventennio i residenti sono attesi aumentare di poco più di 21mila unità, portando il numero complessivo degli abitanti intorno a 1 milione e 284mila». E poi? «Successivamente, si assisterebbe a una contrazione della popolazione, con un’intensità destinata ad acuirsi di anno in anno. Se questo andamento fosse confermato, a gennaio del 2050 il territorio bresciano conterebbe poco più di 1 milione e 279mila abitanti, in aumento dell’1,3% rispetto alla situazione rilevata nel primo gennaio 2024. In tale contesto, va segnalato che, a inizio 2057, la popolazione conterebbe, per la prima volta, un numero di residenti inferiore a quanto rilevato nel 2024 (circa tremila unità in meno); negli anni successivi tale declino non accennerebbe a fermarsi e, nel 2080, alla fine dell’orizzonte previsivo delineato dall’Istat, gli abitanti in provincia di Brescia ammonterebbero a 1 milione e 187mila unità (-6,0% rispetto al 2024, con un calo di oltre 75mila residenti rispetto alla situazione fotografata a inizio 2024».

Il futuro

Passiamo alla questione età. La proiezione sul 2050 stima che gli over 64 saranno 403mila (rispetto ai 288mila attuali), con gli ultranovantenni – dagli attuali 16mila a 32mila – che di fatto raddoppieranno. La popolazione in età lavorativa (15-64 anni) passerebbe da 812mila del 2024 a 719mila; nel 2080 il numero degli over 64 ammonterebbe a circa 390mila unità (in riduzione rispetto ai 403mila stimati per il 2050, ma ancora ampiamente superiore alla situazione nel 2024), a fronte di una ulteriore contrazione della popolazione in età lavorativa (651mila, contro i 719mila nel 2050 e gli 812mila nel 2024).

Tutto ciò, sottolinea il Centro studi di Confindustria, «andrebbe a provocare un ulteriore inasprimento del mismatch quantitativo fra domanda e offerta di lavoro, già in questi tempi più volte denunciato dagli imprenditori bresciani. Se da un punto di vista individuale, la maggiore longevità della popolazione (frutto di un generalizzato miglioramento della qualità della vita) è destinata a proseguire, non può che essere considerata un elemento positivo, perché si traduce in una maggiore aspettativa di vita, per l’intero sistema economico un processo squilibrato di invecchiamento dei residenti comporta diverse problematiche».

I problemi

Ecco alcune problematiche: «La minore disponibilità di persone in età lavorativa, che, come prima evidenziato, contribuisce ad alimentare il mismatch quantitativo fra domanda e offerta di lavoro, in questi tempi divenuto un fattore particolarmente critico per la competitività delle imprese»; «l’obsolescenza delle competenze dei lavoratori, soprattutto in epoche (come l’attuale e la futura) caratterizzate da un progresso tecnologico quanto mai veloce, destinato a impattare con sempre maggiore intensità sulle mansioni lavorative».

Cosa fare? «Appare quindi quanto mai necessaria la progettazione di modelli formativi life-long, da realizzare attraverso la promozione di una collaborazione virtuosa fra tutti gli attori in campo, che garantisca la occupabilità dei lavoratori lungo tutta la loro vita professionale. La domanda di nuove professioni e competenze, legate alle attività di cura e di riabilitazione, all’uso del tempo libero, alla produzione di sussidi».

Il dibattito è aperto.

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