Italia e Estero

Il problema dell'app Immuni non è solo l'app Immuni

L'ultimo Dpcm l'ha resa obbligatoria per le Asl, ma manca l'integrazione con il processo di prenotazione del tampone
Un utente Immuni mostra la notifica di esposizione a rischio contagio - Foto Ansa/Alessandro Di Meo  © www.giornaledibrescia.it
Un utente Immuni mostra la notifica di esposizione a rischio contagio - Foto Ansa/Alessandro Di Meo © www.giornaledibrescia.it
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Secondo quanto stabilito nell’ultimo Dpcm, presentato in diretta tv dal premier Giuseppe Conte domenica sera, l’app Immuni è diventata obbligatoria per le Asl. Nonostante il primo ministro non l’abbia nemmeno menzionato nel suo discorso, dello strumento scelto dal governo per il tracciamento dei contagi si parla esplicitamente nel testo, che recita: «Al fine di rendere più efficace il contact tracing attraverso l'utilizzo dell'app Immuni, è fatto obbligo all'operatore sanitario del Dipartimento di prevenzione della azienda sanitaria locale, accedendo al sistema centrale di Immuni, di caricare il codice chiave in presenza di un caso di positività». La nuova disposizione, in vigore dal 19 ottobre, regola dunque la gestione di uno strumento che è scaricabile e disponibile in Italia da oltre quattro mesi.

Gli ultimi dati dicono che Immuni ha totalizzato 9,1 milioni di download, probabilmente grazie anche alla massiccia campagna di comunicazione che ha campeggiato un po’ ovunque nelle ultime settimane. Inoltre, da lunedì scorso, è la prima app di tracciamento a essere interoperabile a livello europeo, con quelle di Germania e Irlanda. Tradotto: funziona anche nel caso di individui che abbiano trascorso tempo all’estero, per ora limitatamente a queste due nazioni. Due buone notizie, che però sono in contrasto con i problemi che l’app ha fatto registrare recentemente.

Al di là degli intoppi tecnici, in parte risolti strada facendo attraverso il rilascio di vari aggiornamenti - anche se risultano ancora giorni di blackout nella scansione dei dispositivi intercettati dagli smartphone Android - il problema più grosso dell’app Immuni non sembra essere l’app Immuni in sé. Cioè, è proprio il sistema che le gira attorno a presentare delle falle. Lo sottolinea in un’intervista rilasciata al quotidiano Repubblica il fisico Alessandro Vespignani, direttore del laboratorio della Northeastern University di Boston: «L’app contro il virus è una cosa bellissima ma funziona solo se gli crei un mondo intorno. Come si può pensare che le tante aziende sanitarie regionali, già sotto stress, si facciano carico anche di questo compito con le stesse persone. Chi le ha formate?».

Fonti interne al ministero per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione ci riferiscono di una formazione mirata, fatta nei mesi scorsi. La procedura in sé non è particolarmente laboriosa, nel senso che si tratta di inserire il codice crittografato dell’utente Immuni risultato positivo in un database. «Questione di pochi clic» ci assicurano. Un’operazione che però è uno snodo fondamentale per permettere al sistema di dare il via alle notifiche di esposizione al contagio, che dovrebbero allertare chi nelle ultime due settimane è stato a stretto contatto con chi ha contratto l'infezione (meno di due metri per più di 15 minuti). Il condizionale è d’obbligo, anche alla luce dei casi di diversi positivi al Sars-CoV-2 che non sono riusciti a aggiornare il proprio stato di salute sull’app a causa di inefficienze riconducibili alle aziende sanitarie locali, come è successo a Brescia e più diffusamente in Veneto.

«Quello che manca a Immuni - sempre secondo Vespignani - è il cosiddetto supporto post vendita. Ovvero, ho la app e poi che succede? Ho qualcuno con cui parlare? Posso contattare un medico più velocemente? Posso fare subito un test? Senza queste cose la app fa addirittura paura. Ti arriva una notifica di un contatto a rischio e sei solo». In Germania, per esempio, hanno varato un call center nazionale ad hoc: «Sono stupefatto che non ci sia in Italia. Era il momento per assumere studenti, o disoccupati. Si dovevano creare i navigator del Covid». In un modello ideale, secondo Vespignani, arriva la notifica di Immuni, si chiama il call center nazionale e poi «puoi fare subito il test. Le file che ho visto in Italia sono una follia. Ci sono modi semplici per gestirle: il contact tracer che ti risponde al telefono può darti l'ora esatta in cui farai il test. Oppure lo prenoti via Immuni. In Germania lo fanno già».

C’è ancora tempo per far funzionare l'app? «Abbiamo davanti almeno cinque mesi molto difficili con alti e bassi, la battaglia è lunga ma c'è tempo di potenziare sia Immuni che tutto il resto. Ma ricordiamoci che non è la tecnologia il problema. L'innovazione non è solo un prodotto, ma il processo che c'è dietro. Senza questo la app non serve». Non è così ottimista il professor Andrea Crisanti: «Anche se Immuni funzionasse alla perfezione e venisse scaricata dal 90% degli italiani, oggi con 10-12.000 casi dovrebbe mandare 150.000-200.000 messaggi al giorno e non c'è sistema che  in grado di gestire questo».

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