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Logistica, si fa presto a dire 4.0: solo il 15% lo è davvero

Ricerca su 110 aziende per capire a che punto sono nell’uso delle nuove tecnologie
IL 4.0 ENTRA NELLA LOGISTICA
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Industria 4.0, anzi no impresa 4.0, e poi, IoT, Ict, elettronica, robotica, digitalizzazione, automazione e l’elenco potrebbe essere molto più che lungo. Qual è la differenza tra il 3.0 e il 4.0 applicati ai processi, che siano di prodotto o di servizio? Una domanda la cui risposta è scontata solo in apparenza. Lo dimostrano, ad esempio, i risultati della ricerca del Laboratorio Rise (Research & Innovation for Smart Enterprises) dell’Università di Brescia, che ha indagato 110 aziende su quando smart sia la logistica in casa loro. 

Chi pensa e chi fa. La metà pensa, infatti, di avere tecnologie 4.0, mentre andando poi a verificare solo il 37% ha adottato effettivamente soluzioni definibili tali e appena il 15% è concretamente all’opera. «In molti casi basta essere informatizzati per sentirsi 4.0 - spiega Andrea Bacchetti, responsabile della ricerca -. Mentre la vera sfida è partire da quel che si ha per far entrare quel che davvero è smart, dall’Internet of Things alla realtà aumentata e mista, tanto per fare degli esempi. In un processo le cui parole chiave sono automazione, interconnessione, integrazione».

Solo per le medio-grandi? Un paradigma dentro al quale la logistica gioca un ruolo fondamentale e impatta sia a monte che a valle dell’intero processo. E se la maggioranza degli intervistati (62%) è convinta che la direzione sia quella, uno su tre pensa che la partita riguardi solo le aziende medio-grandi. A dimostrazione l’utilizzo di tecnologie smart aumenta in modo quasi proporzionale all’aumentare delle dimensioni dell’impresa. Un vulnus che va superato se è vero che, considerato il tessuto produttivo italiano, basta un anello disallineato per far saltare la catena. Prosegue Bacchetti: «È anche qui che l’università deve giocare un ruolo chiave. Non dobbiamo solo formare nuovi tecnici e manager in ottica 4.0, ma entrare in quel network di competenze che comprende imprese, (utilizzatrici e fornitrici di tecnologie) e digital innovation hub».

Incentivi, più certezze. Come prevedibile ciò che spaventa di più sono gli investimenti (bene gli incentivi previsti dalla politica, male che vengano decisi navigando a vista), in primis in tecnologia (24%), ma subito dopo in competenze (22%). Sfatata la paura de «le macchine sostituiranno gli uomini», ora il leit motiv è fidarsi e collaborare, sia in verticale che in orizzontale perché, spiega Marco Perona, responsabile scientifico del Rise, «siamo abituati a possedere informazioni immagazzinate nei nostri hard disk e facciamo fatica a condividere fra colleghi. In senso verticale, poi, gli organigrammi sono destinati ad appiattirsi e ad emergere saranno sempre più capacità e competenze».

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