Il partito dei pistoni e quello dei pirloni: automotive, freniamo

E dunque la UE ha approvato. Il Parlamento Europeo ha detto sì all’obbligo dal 2035 dello stop alla vendita di automobili a benzina o diesel, di fatto cancellando, sulla base degli attuali strumenti a disposizione, la possibilità di avere la cosiddetta neutralità tecnologica (a gran voce richiesta dalle industrie dell’automotive, ovvero di chi fa componenti per auto).
In sostanza la proposta era: fissati i limiti alle emissioni e lasciat spazio ad altre tecnologie per alimentare le auto come i combustibili sintetici o l’idrogeno. E invece, e almeno per adesso, nulla da fare: stop definitivo ai veicoli alimentati a benzina e a diesel.
In realtà, spera Marco Bonometti, presidente della Omr di Rezzato, qualche spiraglio potrebbe ancora esserci: nel Consiglio europeo si potrebbe recuperare la proposta di portare l’obiettivo di riduzione della CO2 dal 100% al 90% al 2035. «Mi auguro - fa sapere Bonometti -, che il governo italiano, grazie alla propria autorevolezza e al ruolo dei ministri Giorgetti e Cingolani, possa trovare il consenso per far passare la proposta».
Ovvio, sarebbe un modesto compromesso ma è sia un modo per comprare tempo, ovvero per dare modo a chi produce componenti per motori endotermici di sperimentarne di alimentati con carburanti non fossili sia per consentire alle stesse aziende di continuare a lavorare su motori tradizionali «ma facendo innovazione e riducendo ulteriormente le emissioni». Così Marco Bonometti a Il Sole 24 Ore.L’ex presidente di Aib e Confindustria Lombardia si fa carico delle preoccupazioni del settore che stima 70 mila posti di lavoro a rischio in Italia, mentre paventa l’inevitabile esodo delle industrie sui mercati del resto del mondo che di benzina e diesel seguiteranno a farne uso. «La sera, dunque - è il commento acido di Paolo Bricco, sempre sul Sole - tutti a cena da Greta Thunberg».
Ora, al di là ed oltre, la piccola polemica o la diversità di analisi, è certo che la decisione europea avrà un impatto epocale. È un po’ come quando dalle carrozze si passò alle auto, dai cavalli nei campi ai trattori: è certo che ci fu un indubbio progresso (che oggi paghiamo eccetera eccetera) ma non è fuori luogo tenere presenti i termini più vasti del problema.
Dicono quelli che contestano i contestatori della decisione UE: i posti di lavoro persi nell’automotive si potranno in larga parte recuperare sui nuovi lavori che nasceranno con l’auto elettrica e più in generale in un mondo de-carbonizzato. Quel che le industri devono capire - dicono sempre i contestatori di quello che chiamano il partito dei pistoni - è che il mondo deve cambiare. Sì, obiettano da quest’altra parte, ma si sta muovendo la sola Europa: se il clima è un disastro mondiale ci si deve muovere tutti insieme. Eggià - ribattono quegli altri - ma se qualcuno non parte non si arriva mai: l’Europa pagherà dazio ma può pensare di diventare, anche dal punto di vista industriale, un modello per gli altri: potremo esportare tecnologie green anzichè parti di motore. E via andare fra batti e ribatti.
Intendiamoci: discutere, dibattere, confrontarsi è sempre utile mantenendo un minimo di standing che eviti di veder scendere in campo il partito dei pistoni opposto, come si è letto sui social, al partito dei pirloni. Quel che l’automotive chiedeva (e chiede) è il beneficio del dubbio: ovvero che l’elettrico non sia l’unica strada. A parte i problemi del produrre tutta l’energia verde necessaria, perchè «vietare» da qui al ’35 qualche passo avanti in un’altra direzione?
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