Economia

Stop alle auto a motore termico, Brescia non è la sola a doversi preoccupare

Investire sull’elettrico pone dinanzi a problemi tecnologici e di reperimento di materie prime
Tra i problemi per l’Italia c’è anche un sistema infrastrutturale di impianti di ricarica per veicoli elettrici largamente insufficiente
Tra i problemi per l’Italia c’è anche un sistema infrastrutturale di impianti di ricarica per veicoli elettrici largamente insufficiente
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I giochi sono fatti o, per voler essere ancor più teatrali, il dado è tratto. Con il voto di martedì del Parlamento europeo, che ha approvato l’accordo raggiunto con il Consiglio Ue, l’obbligo per nuove autovetture e nuovi veicoli commerciali leggeri di non produrre alcuna emissione di CO2 dal 2035 è diventato incontrovertibile. Ciò si traduce nello stop alla vendita di auto e furgoni a benzina e diesel.

«La normativa incentiva la produzione di veicoli a basse e a zero emissioni, misura cruciale per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 - ha affermato il relatore del testo Jan Huitema (Renew Europe) -. Questi obiettivi offriranno chiarezza per l’industria automobilistica, stimolando innovazione e investimenti. Acquistare auto a emissioni zero sarà meno oneroso».

Fit for 55

Parole che si inseriscono nel solco tracciato dalla Commissione, ed esplicitato attraverso il pacchetto climatico «Fit for 55», ma che a molte persone, a Brescia, in Italia e anche in altre parti del continente, suonano invece come un minaccioso destino. Da mesi e mesi si parla infatti della questione e si sono sprecati gli appelli, di politica e associazioni industriali, affinché l’Europa cambiasse direzione o quanto meno rimodulasse la propria posizione.

Appelli caduti nel vuoto, perché a parte piccole concessioni (l’emendamento «salva Ferrari» che prevede una deroga fino a fine 2035 per i produttori che vendono fino a 10.000 nuove auto o la metodologia per l’adeguamento delle emissioni di CO2 entro il 2026), il testo approvato dalla plenaria ha confermato quanto proposto dalla Commissione. E per il comparto automotive provinciale, che conta 250 imprese, 18mila dipendenti e un fatturato annuo di 6,5 miliardi, non è una buona notizia.

Questo anche alla luce del cambio di direzione annunciato dalle principali case automobilistiche europee, vedasi per esempio la strategia Dare Forward 2030 di Stellantis che prevede, dal 2026, che tutti i nuovi prodotti in Europa siano esclusivamente veicoli elettrici a batteria (Bev).

Interrogativi

Di fronte a tutto questo però si pongono enormi interrogativi, dalla mancata preparazione del sistema produttivo e tecnologico italiano, ma non solo, ad affrontare la transizione, al capitolo materie prime necessarie per realizzarla. La guerra in Ucraina ha reso evidente il bisogno di diversificare le fonti di approvvigionamento. Come questo possa essere possibile a fronte di una produzione di batterie al litio per veicoli elettrici per l’80% nelle mani della Cina (stima BllombergNef) è ancora da capire. Nonostante ciò i colossi europei si sono mossi, investendo in gigafactory (almeno 30 quelle che nasceranno entro il 2035) pensate proprio per la produzione di tali tecnologie.

E l’Italia? Ancorata alle sue posizioni, sconta ora un’arretratezza tecnologica e di filiera che la pone lontana dagli altri attori. Eppure la decisione europea non è nata da un giorno all’altro ma è frutto di un lungo percorso di confronto tra Commissione, Stati e portatori d’interesse del settore. Nessuno si scordi che il Diesel Gate che coinvolse Volkswagen ha profondamente cambiato le carte in tavola per quanto riguarda le automobili a combustione. I segnali di un imminente cambiamento c’erano. Però non si è stati in grado, o non si è voluto, coglierli.

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