Norme e costi della sostenibilità preoccupano la chimica bresciana

Sul chimico l’Europa, e Brescia con lei, si gioca il suo futuro. Per capire l’importanza e la trasversalità nell’industria del settore basta un dato: il 98% dei prodotti manifatturieri ha derivazioni dalla chimica. Nel Bresciano parliamo di circa 700 aziende che nel 2021 hanno fatturato 3,3 miliardi di euro e a oggi occupano 12mila addetti, al sesto posto delle province italiane.
Numeri di rilievo ma che cozzano contro le sempre più crescenti difficoltà che il comparto si trova a dover affrontare. «Il calo dell’industria in Europa negli ultimi anni è stato evidente - conferma Francesco Franceschetti, alla guida della Marfran di Corte Franca (elastomeri termoplastici, 38 collaboratori, 19 milioni di euro di fatturato e una quota di export del 45%) -. La chimica di base in particolar modo ha visto una crescita della dipendenza dal mercato asiatico, diventato fornitore di materie prima. L’industria continentale è ora un importatore, che realizza semi lavorati o prodotti finali».
Cause
Le cause di questa flessione strutturale sono molteplici ma Franceschetti, che riveste anche il ruolo di vicepresidente per Zone e Settori di Confindustria Brescia, vede nella «fortissima pressione normativa, anche legata al Green Deal» uno dei motivi principali. «La sostenibilità è necessaria e sarà un fattore di competitività per l’Europa - spiega -, ma questo non deve avvenire a costo della deindustrializzazione.
Tutte le aziende del comparto stanno investendo molto nel green, noi compresi anche tracciando il percorso completo della CO2 dei nostri prodotti, ma bisogna avere ben chiara in mente una cosa: la sostenibilità è costosa in termini di investimenti e di spese». Oltre ciò «serve uniformità legislativa sul suolo europeo, non può esserci ogni volta qualcosa di nuovo» rimarca.
Carbon tax
Ad aggiungere un ulteriore tassello è Michele Valetti, direttore commerciale della Torchiani di Brescia (prodotti chimici industriali, 42 milioni di fatturato nel 2023 e 50 dipendenti): «La carbon tax penalizza le nostre produzioni, già all’avanguardia in chiave sostenibilità, favorendo quelle extra europee - analizza -. In Europa ogni industria paga per la CO2 emessa, se però importi da Cina o Stati Uniti (altro grande player internazionale ndr) non hai la carbon tax. Questo significa che o compri all’estero o sposti le produzioni in quei Paesi».
«Relazione Draghi»
«Costi legati alla decarbonizzazione e un contesto normativo complesso e poco agevole» sono tra le cause del calo della produzione anche per Paolo Vismara, presidente di Unionchimica Confapi Brescia, con il ceo di Vpm Group di Alfianello (settore petrolchimico) che al novero delle complicazioni aggiunge anche «l’aumento dei prezzi dell’energia».
In questo contesto si accrescono ancor di più le aspettative per le applicazioni concrete della Relazione sulla competitività europea di Mario Draghi, «dove si evidenzia l’importanza di trovare un equilibrio tra competitività, politiche industriali, regolamentazioni burocratiche e sostenibilità ambientale - rimarca Vismara -. Un esempio citato dallo stesso Draghi riguarda la normativa sui fluoropolimeri (Pfas). Una restrizione troppo severa su questi composti potrebbe frenare i progressi in settori strategici come la produzione di batterie e le tecnologie legate all'idrogeno».
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