Una mostra in cinque sedi per celebrare l’artista vestonese Garosio

Giovanna Galli
S’intitola «Geografie umane tra la Valle Sabbia e la città»: 300 le opere esposte in cinque sedi per valorizzare un pittore legato alla sua comunità
Un intenso ritratto fotografico del pittore Ottorino Garosio
Un intenso ritratto fotografico del pittore Ottorino Garosio
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Un pittore capace di raccontare la fatica e la dignità degli umili, la concretezza della vita quotidiana e, al tempo stesso, la profondità della cultura figurativa del Novecento. È Ottorino Garosio (1904-1980), vestonese, protagonista di una grande mostra antologica diffusa in cinque sedi tra la Valle Sabbia e Brescia, che fino a dicembre ne ripercorre con ampiezza e rigore l’intera parabola espressiva.

Iniziativa corale

Il progetto, promosso dall’Associazione Via Glisenti 43 e dal compianto presidente Gianfausto Salvadori, recentemente scomparso, coinvolge diversi enti e associazioni. L’itinerario, intitolato «Geografie umane tra la Valle Sabbia e la città», è dunque un’iniziativa corale che intende restituire la complessità di un artista profondamente legato alla propria comunità, della quale ha saputo cogliere volti, atmosfere e riti, mantenendo viva l’attenzione ai linguaggi del suo tempo.

Circa 300 le opere esposte, selezionate tra oltre un migliaio di segnalazioni giunte da collezionisti privati: tele, disegni e schizzi che attraversano l’intero arco creativo del pittore, dagli esordi alla maturità, dai primi paesaggi valsabbini ai ritratti popolari, dagli autoritratti alle nature morte, fino ai lavori più tardi, quando la sua pittura si fa sintesi di realismo e tensione espressiva.

  • Alcune opere di Ottorino Garosio
    Alcune opere di Ottorino Garosio - © www.giornaledibrescia.it
  • Alcune opere di Ottorino Garosio
    Alcune opere di Ottorino Garosio - © www.giornaledibrescia.it
  • Alcune opere di Ottorino Garosio
    Alcune opere di Ottorino Garosio - © www.giornaledibrescia.it
  • Alcune opere di Ottorino Garosio
    Alcune opere di Ottorino Garosio - © www.giornaledibrescia.it

Il percorso

Dopo l’anteprima estiva dedicata ai disegni, allestita a Sabbio Chiese, il percorso prende forma con tre inaugurazioni ravvicinate: domani a Vestone (Il suo paese, la sua gente), a Brescia il 20 all’AAB (Ritorno in città), a Bagolino il 21 (Gli esordi e l’alta Valle). A chiudere l’itinerario sarà, l’8 novembre, la Fondazione Museo Martino Dolci con la sezione Umori e colori della brescianità, che completerà la ricostruzione della fisionomia complessa di una figura tra le più radicate nella memoria visiva e nell’affetto popolare del mondo bresciano.

La tappa vestonese, inaugurata domani all’Auditorium comunale Mario Rigoni Stern, è allestita negli spazi dell’associazione Via Glisenti 43 e presenta oltre 70 opere, destinate a rinnovarsi nel corso dell’esposizione. L’inaugurazione sarà anche l’occasione per presentare il catalogo generale edito da Epta Editions: un volume di oltre 300 pagine con contributi di Alfredo Bonomi, Michela Valotti, Fausto Lorenzi, Giuseppe Biati, Massimo Tedeschi, Eugenio Busi e altri. Più ancora delle singole mostre, il volume diventa la chiave per comprendere la statura di un artista che torna non solo patrimonio della memoria locale, ma figura viva della storia artistica del ’900: pittore popolare e insieme raffinato, cronista della quotidianità e interprete di un linguaggio europeo.

Un particolare di «Personaggi al mercato di Nozza»
Un particolare di «Personaggi al mercato di Nozza»

La religiosità della terra

«Sotto l’immagine un po’ da cantastorie popolare, in Garosio c’è sempre un segno duro, secco, essenziale: il senso della fatica del vivere e la religiosità della terra», osserva Fausto Lorenzi, autore di due saggi in catalogo e curatore della tappa bresciana. «Negli ultimi decenni della sua vita, dagli anni Sessanta agli Ottanta, si è consolidata l’immagine di un Garosio ingenuo e folkloristico. In realtà c’è molto di più: Garosio è sì un maestro legato alla sua terra, in particolare alla sua valle, ma non è ingenuo. Rilegge il Novecento, assorbe le correnti artistiche del suo tempo, si confronta con i linguaggi pittorici più vivi e li traduce in una lingua personale, che resta popolare ma al tempo stesso colta e consapevole. Non è il dialetto che gli viene attribuito, ma una lingua pittorica che si può inserire nelle grandi tradizioni figurative del secolo scorso».

Lorenzi sottolinea come il senso ultimo del progetto sia proprio quello di superare lo stereotipo di pittore «popolare» in senso riduttivo: «Garosio guardava a Carrà, Tosi, Rosai, Maccari; ha assorbito suggestioni espressioniste, colte nelle frequentazioni giovanili degli ambienti mitteleuropei, e persino informali. Sapeva vedere e far vedere, con un segno nervoso, capace di dare forma alla fatica del vivere e insieme alla poesia delle piccole cose».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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