Divieto smartphone a scuola: «Non funzionerà, meglio la condivisione»

Vietare l’uso dello smartphone in classe potrebbe non essere la soluzione giusta per «scollegare» i giovani. Anzi, verosimilmente gli effetti negativi di tale scelta sarebbero più numerosi ed impattanti di quelli positivi. Ne è convinta Monica Bormetti, psicologa originaria di Ponte di Legno ma attiva professionalmente a Milano, esperta di benessere digitale con particolare attenzione alla dipendenza dal telefono.
«Il divieto mi pare essere più una presa di posizione, e insieme una scelta a impatto mediatico, che uno strumento concreto – esordisce Bormetti –. Idealmente tutti siamo d’accordo sul fatto che stare attaccati ai cellulari faccia male quindi non possiamo che accogliere positivamente la scelta del legislatore. Dopodiché un ragazzo quando esce da scuola ricomincia a fare le stesse cose, forse addirittura acuendo certi comportamenti, con la contestuale probabilità che in aula entri con un secondo cellulare nascosto».

Secondo l’esperta quindi sarebbe più utile mettere in pratica iniziative come i «patti digitali». «Si tratta di un’esperienza, nata a Milano all’università Bicocca e poi ampliata grazie alla collaborazione col Comune, che ha definito buone pratiche per far usare in modo consapevole e sano il digitale in contesti scolastici». Nel concreto si tratta di attività volte a sviluppare la consapevolezza di tali strumenti «innanzitutto nei genitori – evidenzia Bormetti –. Oltre a ciò servono per fornire competenze e nozioni ai ragazzi. Secondo la mia esperienza professionale infatti i giovani sono molto ferrati e informati sul funzionamento tecnico di app come Instagram o TikTok, sono invece largamente inconsapevoli di tutto ciò che riguarda aspetti quali violazioni della privacy, come i contenuti possano essere utilizzati da altri o dell’effetto di una storia o di un reel dal punto di vista sociale e di impatto sugli altri».
Tutto ciò però deve essere costruito «con tempo, energia e pazienza», ben consapevoli che le abitudini digitali sono parte integrante della vita dei giovani, soprattutto degli adolescenti. Tempo libero, svago, relazioni sociali e affetti sono intrinsecamente legati all’uso dello smartphone, «e sminuire il suo utilizzo con frasi del tipo "smettila con quel giochino” non fa altro che allontanarli di più dal mondo degli adulti». Secondo la psicologa serve quindi «che educatori e genitori si siedano accanto ai ragazzi e chiedano loro cosa trovano di bello nei social, cosa provano quando li usano. Bisogna tentare di entrare nel loro mondo».
Ciò vale a casa così come nelle scuole: «Se non creo spazio per parlarne poi in qualche modo si perde il controllo – aggiunge –. Lo stesso discorso si applica all’educazione sessuale. Non fornendo gli strumenti conoscitivi adeguati, i giovani – anche i bambini – si formano accedendo alla pornografia».
Infine un altro grimaldello nelle mani degli adulti è quello di «sviluppare attività sociali "analogiche”: che sia uno sport o qualsiasi altro qualsiasi tipo di corso, è fondamentale creare spazi dove possano incontrarsi tra loro di persona». Perché, anche a causa della situazione venutasi a creare dopo la pandemia , «stiamo creando generazioni sempre più isolate, come isolati sono gli stessi adulti - conclude -. Sono tante le cause che concorrono a creare tale dinamica ma di certo il telefono e i social sono sempre più un rifugio che rischia di isolare dalle relazioni e dalle affettività esterne».
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