Bostrico nei boschi, Valtrompia e Valcamonica le più colpite

Barbara Fenotti, Giuliana Mossoni
Proseguono gli interventi per combattere il parassita, che in alcune aree sembra aver concesso una tregua
Alberi rinsecchiti a causa del bostrico - © www.giornaledibrescia.it
Alberi rinsecchiti a causa del bostrico - © www.giornaledibrescia.it
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Sono trascorsi oltre sei anni dalla tempesta Vaia, l’uragano che con il suo passaggio nell’autunno del 2018 ha cambiato radicalmente il volto di molti boschi del Bresciano. Quelli della Valtrompia e della Valcamonica sono stati i più colpiti. Oltre ai danni immediati come straripamenti, inondazioni, tracimazioni e smottamenti la violentissima tempesta ha abbattuto migliaia di alberi, che di lì a poco sono stati colonizzati dal bostrico.

Cos’èil bostrico

Questo coleottero attacca alberi malati o sofferenti, inserendosi sotto la corteccia e scavando delle gallerie lungo il fusto dell’albero. La realizzazione degli intricati percorsi del bostrico uccide la pianta, che non riesce più a trasmettere la linfa. In questo modo in Alta Valtrompia, specialmente nei Comuni di Collio, Bovegno, Marmentino, Irma e Pezzaze, il coleottero ha ucciso circa 133mila alberi, pari a 350 ettari di bosco. Il conto dei danni è salatissimo: oltre 4 milioni di euro.

Gli interventi

Per arginare le conseguenze è scesa in campo la Comunità montana con una serie di bonifiche, che hanno previsto il taglio e la rimozione del legname bostricato. In parallelo è stata avviata la piantumazione nelle zone colpite: ripopolare i boschi è essenziale per prevenire il rischio idrogeologico. Per contrastare la diffusione del bostrico, che tende ad attaccare anche le piante sane, nel 2021 nei boschi di abete rosso le Guardie ecologiche volontarie della Valtrompia hanno posizionato 200 trappole contenenti del feromone con l’obiettivo di monitorare l’eventuale comparsa di nuovi focolai d’infestazione o l’ampliamento di quelli esistenti e, nel caso, procedere con la cattura per impedire che vadano a colpire le circostanti aree rimaste integre. «Dopo gli intensi interventi degli scorsi anni la situazione sembra stabile – spiega il dottore forestale della Comunità montana, Giacomo Remedio –. Continueremo i monitoraggi, anche se in molte zone l’abete rosso sarà per molti anni un ricordo. Nelle poche aree più fredde e meno esposte invece la diffusione sembra essersi normalizzata».

I danni

In Valcamonica il bostrico ha sostanzialmente doppiato i danni della tempesta Vaia, che nel 2018 aveva buttato a terra mille ettari di bosco. L’insetto ha rinsecchito oltre 1.500 ettari, dalla Valpalot di Pisogne, una delle più colpite, sino alla zona di Sesa in alta Valgrigna, tra Bienno e Berzo, dalla Valpaghera di Ceto alla Valsaviore, soprattutto Fabrezza e Ponte, dalla Valmalga di Sonico alla Val d’Avio a Temù, uno dei casi peggiori, dall’iconica Valsozzine di Ponte alle valli Brandet e Campovecchio a Corteno, tra l’altro all’interno della riserva naturale, fino a scollinare verso Lozio, Ossimo Borno.

In regressione

Il bostrico ha iniziato a infestare i boschi di abete rosso in Valcamonica dal 2020, ma oggi appare in regressione: come spiega il direttore del settore Bonifica della Comunità montana, Gian Battista Sangalli, «le infestazioni hanno sempre un andamento gaussiano, prima aumentano tantissimo e, dopo 4-5 anni, iniziano a calare. È esattamente quel che stiamo constatando: il picco massimo è stato nel 2023, nel ’24 abbiamo notato un calo sia in termini di superfici colpite sia di insetti catturati».

Certo, lo sguardo su una delle principali bellezze della valle, le distese verdone di abeti, è devastante, con migliaia di piante sostituite da cadaveri giallo-marrone rinsecchiti. Il bostrico è una malattia che non si può sconfiggere, si può solo coltivare il bosco per sostituire gli abeti con altre piante più resistenti. Nel breve periodo si deve tagliare e portare via le piante infestate, nel medio-lungo la scelta della Comunità montana è stata di non effettuare rimboschimenti, perché i costi sono eccessivi e non ci sono risorse, «ma a cinque anni abbiamo visto che la natura ci sta già pensando, con migliaia di piantine che stanno crescendo», conferma Sangalli.

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