San Martino, il guerriero convertito e il mendicante mancante

Martino era un soldato di Roma. Mentre faceva il giro di ronda in una gelida serata vide un mendicante seminudo che tremava dal freddo, così scese da cavallo, si tolse la clamide dei soldati imperiali, la divise a metà con la sua spada e la donò al bisognoso. La notte seguente sognò Gesù con addosso il mezzo mantello che aveva regalato. Sì, aveva incontrato il Redentore. Da quel momento iniziò per Martino un percorso che lo portò a farsi monaco e abbracciare come stile di vita la povertà, alla quale non rinunciò nemmeno quando divenne vescovo di Tours.
Il ricordo di San Martino
Fare San Martino per i contadini della Pianura Padana era sinonimo di traslocare, poiché un tempo i contratti di lavoro scadevano proprio l’11 novembre, la sua ricorrenza, e i lavoratori agricoli dovevano raccogliere le proprie cose e cambiare casa. In più San Martino decide di cambiare vita proprio dopo l’incontro con un Povero Cristo, esattamente ciò che erano coloro che ogni anno si trovavano costretti a lasciare tutto per cercare altro. Martino, votato alla povertà per causa di uno che non aveva altro con sé che freddo e solitudine, è un po’ il patrono di chi fa una gran fatica a tirare avanti. I devoti non gli sono mai mancati e in questi tempi sono ineluttabilmente destinati a proliferare, anche dove non si immaginerebbe.
Martino è inoltre sommo esempio di generosità, quella vera, che spinge a privarsi di beni e agi per condividerli con chi ha bisogno. E lo si fa con i fatti, non con le parole, non alienando le briciole, bensì togliendo a se stessi l'indispensabile. Certo, per far ciò bisogna proprio essere santi, nondimeno per dare qualcosa agli altri e non tenersi tutto per sé non serve un’aureola.
A proposito di briciole, quegli stessi contadini di cui sopra raccontavano a figli e nipoti, volendo loro insegnare a non buttare via nulla, che San Martino era sceso da cavallo per raccogliere una briciola di pane. Anche in questo caso il concetto è attualissimo e ben s’attaglia alla lotta contro lo spreco che ormai ci coinvolge tutti (o perlomeno così dovrebbe essere, malgrado prosperino ricchi epuloni fieri di darsi a inutili fasti).
L’affresco di Rovato
Martino ci racconta tutte queste cose e lo fa tra l'altro anche da una parete della chiesa di Santo Stefano a Rovato, in un affresco della fine del Trecento. Ci sono lui, il destriero, il mantello e la spada. Sullo sfondo un castello, emblema dello status al quale il giovane soldato sta per rinunciare. Quello che manca è il povero, eroso dal tempo. Interessante, tale specifico vuoto, perché consente a ciascuno di immaginare se stesso in quella lacuna sulla parete, al fine di immedesimarsi in quel poveretto. Per magari, come fece Martino, capire in che modo ci si sente quando non si ha nulla se non la propria disperazione.
Poiché non esiste fortuna che si possa dire eterna e tutti potremmo diventare quel mendicante mancante.
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