Un anno di pandemia: Q come quarantena

Quarantena
Nelle opprimenti serate di silenzi scalfiti solo dall’incedere assordante di ambulanze, ho pensato spesso alla parola quarantena, che suonava specie durante la prima ondata come una minaccia quantomai incombente su ciascuno, nonostante il tentativo di qualcuno di renderla allettante via social (vedi l'iniziativa #mysweetquarantine). Evoca tempi propri della cristianità - basti pensare alla Quaresima o ai 40 giorni trascorsi da Gesù nel deserto alle prese con le tentazioni, per fare gli esempi più spicci -, eppure fu concepita dalla Serenissima, non certo la repubblica più fervente del Cattolicesimo, mentre si abbatteva la peste nera che fu pretesto del Decamerone boccacesco. E a dirla tutta in quel 1347 anche Firenze adottò misure analoghe che oggi diremmo di sanità pubblica. Ma che allora furono adottate più per intuizione amministrativa che per consapevolezza medica. Ed è probabile che contro i ratti, vettori del contagio, bandi e ordinanze poco abbiano potuto.
La quarantina veneta ci viene eredità di una lunga storia di pandemie susseguitesi negli ultimi settecento anni. Fu dalle sue origini un affare di Stato, visto che serviva anche a ristabilire l’ordine delle cose dopo i travagli di pestilenze e affini. E non è un caso, mi veniva da pensare sempre in quelle ore, che quarantena era pure quella che gli immigrati effettuava sbarcando a Ellis Island al largo di New York dopo aver attraversato l’Atlantico.
Ma non so quanto tutto questo possa risultare di interesse a chi, chiuso in casa quando non in una sola stanza, attende il decorso dei giorni prescritti per l’isolamento e l’esito negativo di un tampone. Il coronavirus a suo modo ci rende tutti concentrati su un eterno presente. In cui paura e speranza giocano a rimpiattino. Purtroppo da molto più di 40 giorni.
Gianluca Gallinari
Un anno di pandemia: leggi le altre parole, dalla A alla Z >>
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato