Sin Caffaro, Pcb mutati nei terreni agricoli: a rischio le acque

Lo studio dell’Istituto Negri: «Le 80 molecole sono in grado di contaminare la falda, possono essere tossiche». Convocato vertice con Arpa e Ats
Monitoraggio. Il team dell’Ersaf al lavoro sui campi agricoli inclusi nel perimetro del Sin - Foto © www.giornaledibrescia.it
Monitoraggio. Il team dell’Ersaf al lavoro sui campi agricoli inclusi nel perimetro del Sin - Foto © www.giornaledibrescia.it
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(Brutta) sorpresa: i Pcb non restano semplicemente immobili, appiccicandosi a tutto ciò che trovano e avvelenandolo. O, almeno, non per sempre. Col trascorrere del tempo si deteriorano e, soprattutto, «mutano».

Cosa significa? Che queste nuove molecole, essendo solubili, vengono metabolizzate, viaggiano, si diffondono e «sono in grado di contaminare le acque potabili e di falda». Il loro grado di tossicità, però, ancora non si conosce. La certezza, ad oggi, è che i terreni agricoli sdraiati all’interno del Sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro (Sin), e il cui destino è da vent’anni lasciato in stand-by, ne sono totalmente impregnati. E adesso la bonifica rischia di raggiungere il livello di urgenza massima, al punto che la Loggia ha annunciato un tavolo tecnico che, oltre al Ministero con Istituto superiore di sanità e Ispra, chiama in causa l’Arpa e l’Ats.

Lo studio dell'Istituto Mario Negri e delle università

La scoperta porta la firma dell’Istituto Mario Negri e delle Università degli studi di Milano e dell’Insubria. I ricercatori hanno condotto l’indagine che ha puntato i fari sui campi inclusi nel perimetro del Sin sulla scia dell’accordo di collaborazione con Ersaf, l’ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste di Regione che da anni è impegnato nelle attività di biorimedio. Insieme hanno campionato i terreni e hanno isolato e sintetizzato i composti. Più di 80, per la precisione, quelli riscontrati a Brescia. «Queste molecole, le cui proprietà tossicologiche ed ecotossicologiche sono al momento ignote - si legge - sono accumulate nei lombrichi e quindi possono rappresentare un potenziale rischio per l’ambiente e l’intero ecosistema terrestre». La spiegazione pratica arriva qualche riga più in basso: mentre i Pcb sono poco mobili nel suolo, «i loro prodotti di trasformazione sulfonati sono molto più mobili, soprattutto in acqua, e quindi sono in grado di contaminare le acque potabili e di falda».

La risposta della Loggia

Spiega Enrico Davoli, ricercatore dell’Istituto Negri: «Nessuno al mondo aveva mai visto prima queste sostanze, si tratta di una scoperta unica (pubblicata sulla rivista Environmental science and technology). In sostanza questi sulfonati vanno in giro con l’acqua: per questo va indagata la loro tossicità e diffusione». Parole che non hanno lasciato la Loggia indifferente: «Gli elementi riportati sono novità tecniche che hanno risvolti di tipo sanitario ed ambientale complessi. Per quanto ci riguarda sottoporremo la documentazione all’attenzione di Arpa e Ats in sede locale e alla luce di eventuali indicazioni il Comune si attiverà tempestivamente per adottare i provvedimenti di sua competenza» fa sapere l’assessore all’Ambiente, Miriam Cominelli.

Il problema delle aree agricole fuori dal Sito

Bisogna allarmarsi? «Siamo all’anno zero - rileva Davoli -, abbiamo pochi elementi, perciò non possiamo parlare di allarme. Ma serve indagare e servono fondi per farlo, perché può essere implicata la salute. Per questo è importante caratterizzare le molecole dal punto di vista tossicologico. A meno che non si proceda subito con la bonifica, certo». Il capitolo risanamento per le aree agricole extra sito produttivo, però, è sempre rimasto sullo sfondo e tuttora non sembra avere un orizzonte vicino. «Siamo al lavoro per portare avanti una prospettiva di sviluppo per queste aree, ma non è semplice» sottolinea il commissario straordinario Mario Nova, che annuncia di avere intavolato un dialogo con Ministero e Regione. E a rilanciare con forza la necessità di risanare i campi è Marino Ruzzenenti (Basta veleni), che precisa: «C’è ancora molto lavoro da fare per capire la potenziale tossicità di queste molecole, anche per questo bisognerebbe utilizzare più cautela nelle coltivazioni. L’unica strada da percorrere è quella della bonifica e di ricreare l’équipe di lavoro con Ispra, Iss, Ats e Arpa per capire come agire». A partire dalle porzioni più avvelenate.

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