Sempre più donne straniere denunciano la violenza su Instagram

Il messaggio le arriva in direct, su Instagram: «Ho paura di fare la fine di Saman Abbas». Chi scrive è una ragazza di origini pachistane, residente nel sud Italia. Teme che la sua famiglia la uccida, come è successo secondo le indagini alla 18enne scomparsa il 30 aprile 2021 a Novellara, in provincia di Reggio Emilia.
A leggere la sua richiesta di aiuto è Pinky Kaur Aoulakh, la trentenne indiana che nel 2015 a Dello rischiò di morire quando il marito le diede fuoco. Lei si salvò, denunciò il padre dei suoi figli, compì un percorso di riabilitazione e oggi è un punto di riferimento a Brescia contro la violenza sulle donne. Agisce con la onlus di cui è una delle esponenti principali, Wall of Dolls, e con cui ha realizzato il Muro delle Bambole in piazza Garibaldi, ma sempre più spesso aiuta le altre donne anche sui social.
Quando tutto è cominiciato

«È iniziato tutto durante il primo lockdown - racconta Pinky Aoulakh interpellata da Giornale di Brescia per commentare il caso della 33enne pachistana ribellatasi al marito su cui è uscito un articolo nell’edizione di mercoledì 23 febbraio -. Le donne straniere hanno cominciato a scriverci tantissimo su Instagram, molte direttamente a me sul mio profilo». Come la ragazza pachistana che le ha chiesto aiuto di recente: «Era innamorata di un ragazzo indiano, ma la sua famiglia non lo accettava. Mi ha contattato su Instagram e siamo riuscite a prenderla in carico come Wall of Dolls. Adesso sta bene, l’abbiamo trasferita, è al sicuro e si è sposata con chi voleva lei».
È una storia che ne riecheggia altre, a Brescia: riporta a Hina Saleem, la ventenne pachistana uccisa nell’agosto del 2006 da suo padre e dai suoi zii perché aveva deciso di amare un uomo diverso da quello che loro avevano scelto per lei, e più di recente a Sana Cheema, la 25enne italo-pakistana uccisa nell’aprile del 2018 nella terra dei genitori perché voleva sottrarsi a un matrimonio combinato. Entrambi i femminicidi, così come la vicenda di Pinky, sono diventati simboli a Brescia della lotta contro la violenza e continuano a ispirare le donne che riescono a denunciare.Un fenomeno più ampio

Il fenomeno delle richieste d’aiuto su Instagram però è più ampio. Sono moltissime le donne straniere - pachistane, indiane, cingalesi - che scrivono a Pinky Aoulakh per trovare un appiglio: a volte solo per sfogarsi, altre per iniziare un percorso di denuncia. «Non tutte vogliono andare fino in fondo - dice la fondatrice di Wall of Dolls -. Però scrivono, raccontano. Lo fanno da un profilo falso, con un nome diverso, che creano apposta perché i mariti controllano i loro account. A volte mi contattano le amiche, perché capita che una vittima abbia troppa paura di essere scoperta». Sono però molte di più rispetto pochi anni fa le straniere di Brescia vittime di violenza che si fanno avanti servendosi dei social, perché «scrivere un messaggio è molto più facile che inventarsi una scusa per uscire di casa e andare a un centro di violenza».
Ma non è solo questo. Sui social network circolano numerose testimonianze di chi la violenza l’ha subita e da cui si è sottratta, sia per sensibilizzare sul tema sia per dare coraggio alle altre a fare altrettanto. Per Aoulakh questi esempi stanno incidendo in modo significativo tra le vittime di violenza straniere a Brescia: «Nelle comunità orientali è fortissimo il timore del giudizio degli altri - spiega -. Questo fa da grande deterrente alle denunce delle donne: temono di essere condannate dal resto dei conoscenti. Vedere che qualcuna appartenente al loro contesto lo fa le spinge a imitarle, come mai prima d’ora. E lo vedono tantissimo sui social».
Consapevolezza nella comunità
Anche Jabran Fazal, presidente dell’associazione Pak di Brescia impegnata in attività a favore dell’integrazione, conferma questa tesi. «Le donne nella nostra comunità sono più consapevoli dei loro diritti - dice Fazal -. I social media giocano un ruolo importante perché è lì che si discute della libertà delle donne, lì che molte donne si esprimono a favore della propria autodeterminazione». Fazal spiega che questa consapevolezza si sta facendo largo nella comunità pachistana di Brescia anche tra gli uomini, più disposti a mettere in discussione il tabù sulle questioni familiari.
Ed è una metamorfosi che si riflette nel desiderio crescente delle donne pachistane di uscire dalle mura domestiche per ricavarsi altri spazi di vita. Quello dell’indipendenza economica delle vittime di violenza è un punto nodale, confermano Pinky Aoulakh e Fazal. «La violenza fisica è la più evidente, su cui si accendono i riflettori - osserva il presidente di Pak -, ma c’è anche quella economica, più sottotraccia ma legata alla prima. Perché le donne dipendenti economicamente non riescono a pensarsi al di fuori dalle relazioni». Il problema è che molte donne straniere a Brescia, come in altre città, sono qui sole: senza famiglia, senza amici, trasferitesi in Italia con un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare al loro carnefice. Il quale, poi, spesso requisisce i loro documenti e loro, senza soldi né passaporto, finiscono per non denunciare perché non hanno nessun posto dove andare né i mezzi per scappare.
Ecco perché Pinky sta lavorando a un progetto che coinvolge il consolato indiano: «Vorrei trovare un modo di garantire alle donne che denunciano di poter ottenere i nuovi documenti attraverso un percorso agevolato. Non è molto, certo, ma dobbiamo trovare il modo di creare elementi concreti che, come i social, le aiutino a sbloccarsi da queste situazioni».
Scriveteci
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Qui sotto trovate alcuni contatti utili per la provincia di Brescia:
- Casa delle Donne, via S. Faustino, 38, 25122 Brescia BS - tel. 030 240 0636
- Centro Antiviolenza “VivaDonna”, via San Francesco d’Assisi 3, Gardone Valtrompia, tel. 335.7240973 o 030.8337422
- Centro Antiviolenza “Chiare Acque”, via Gerolamo Fantoni, 86, 25087, Salò, tel. 0365 187 0245
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