Sanità territoriale: serviranno almeno 500 infermieri di comunità

Il «nodo» delle risorse per garantire gli standard dell’assistenza previsti dal decreto al varo del governo
Mancano all'appello diversi operatori sanitari per raggiungere l'efficienza - Foto Ansa/Filippo Venezia © www.giornaledibrescia.it
Mancano all'appello diversi operatori sanitari per raggiungere l'efficienza - Foto Ansa/Filippo Venezia © www.giornaledibrescia.it
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La forma e la sostanza. La forma è interessante: grazie ai fondi europei verranno ammodernate le strutture esistenti, ne verranno costruite altre, si acquisteranno le tecnologie necessarie. Sulla sostanza, invece, si rischia di inciampare, perché la radicale modifica della sanità territoriale richiede, al contempo, sia una razionalizzazione che deriva dalla riorganizzazione delle competenze e dei luoghi, sia un rafforzamento.

Per far funzionare le Case e gli Ospedali di Comunità e tutta la declinazione della sanità e dell’assistenza al di fuori dagli ospedali come li abbiamo concepiti finora bisogna avere un numero sufficiente di professionisti da assumere e un adeguato finanziamento del Servizio sanitario per far sì che le risorse siano garantite anche nei prossimi anni. Siamo all’insufficienza su entrambi i fronti.

Quanti ne servono

Basti pensare, ad esempio, che per rispettare i nuovi standard dell’assistenza territoriale - delineati nel decreto ministeriale oggetto di confronto in Conferenza Stato-Regioni in provincia di Brescia - è necessario assumere dai 231 ai 363 infermieri solo per le 33 Case di Comunità, nelle quali dovrebbero lavorare anche 33 assistenti sociali e un numero variabile da 165 a 264 unità di supporto (personale sociosanitario e amministrativo). Negli ospedali di comunità, otto in tutta la provincia così come da delibera di Giunta regionale dello scorso 7 marzo, gli infermieri variano da un minimo di 56 ad un massimo di 72, gli operatori sociosanitari da 32 a 48, i riabilitatori da 8 a 16.

Ancora, le tredici Centrali operative territoriali, vero «snodo» della nuova organizzazione, realtà che dovrebbero sostituirsi a malati, figli e parenti che oggi faticano, e non poco, a trovare una coerenza nell’accesso ai differenti centri di cura, avranno bisogno da un minimo di 39 ad un massimo di 78 infermieri e da sedici a ventisei unità di supporto. Se ci soffermiamo solo sul fabbisogno degli infermieri, bisognerà assumerne gradualmente da 326 fino a 513.

Mattoni e personale

Scorrendo le pagine dell’ultima bozza del decreto, in attesa dell’approvazione definitiva, ci si trova davanti ad un progetto che, partendo dalla spinta del Piano nazionale di ripresa e resilienza che finanzia la parte strutturale, ha l’opportunità di riscattare un sistema che per anni è stato considerato la Cenerentola del nostro ordinamento, tant’è che la percentuale di Prodotto interno lordo per finanziarlo è tra le più basse d’Europa. Da qui la mancata intesa Stato-Regioni in sede di conferenza: non tecnica, dunque, ma politica. La pandemia ha dissanguato le casse delle Regioni. Per questo, ora, servono garanzie a lungo termine sull’adeguata copertura finanziaria per assumere il personale necessario. Fermo restando che su tutto pende la spada di Damocle della carenza di professionisti: medici di Medicina generale e pediatri di libera scelta. Solo nel Bresciano, secondo l’ultimo dato regionale, ne mancano 140, poco meno del 20% dell’attuale fabbisogno. Mancano infermieri. Il nodo risorse è strettamente collegato a questo: se gli infermieri venissero pagati adeguatamente, forse la professione tornerebbe attrattiva.

Rafforzare

«Per rafforzare il territorio sarà necessaria una grande opera di razionalizzazione dell’offerta esistente - spiega Francesco Longo della Sda Bocconi di Milano -. Essa dovrà considerare l’attuale frammentazione di ambulatori e laboratori; la quota di privato accreditato e relativo livello di concentrazione; la presenza di strutture intermedie per decidere se saturare, potenziare o creare nuovi ambienti di cura». Serve, soprattutto, un cambio di passo, in primis da parte dei professionisti della salute inseriti nella rete territoriale. Per la prima volta vengono definiti standard che dovranno essere rispettati in ogni Regione (a vigilare sarà l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali che presenterà una relazione semestrale sullo stato dell’arte).

Perno di tutto il sistema sarà il Distretto sanitario, che non è un luogo fisico ma parte del territorio, al cui interno rivestirà un ruolo fondamentale la Casa della Comunità (luogo fisico) dove i cittadini potranno trovare assistenza 24 ore al giorno, 7 giorni su sette. I medici di Medicina generale. I medici di famiglia continueranno ad avere i loro studi, collegati in rete e aperti dodici ore al giorno sei giorni su 7. Nei Distretti ci saranno gli Ospedali di comunità, decisivi nella fase post ricovero. A coordinare i vari servizi saranno le Centrali operative. Un forte impulso verrà dato anche dal numero di assistenza territoriale europeo 116117 che si potrà chiamare per prestazioni sanitarie e sociosanitarie a bassa intensità assistenziale, quelle che non richiedono il pronto soccorso.

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