Otto medici di famiglia su dieci sono pronti a dare le dimissioni

«Ci dimettiamo». Più che una minaccia, è un grido d’aiuto, un appello. La richiesta di un ascolto che produca risultati. A lanciarlo sono i medici di medicina generale bresciani: in otto su dieci hanno aderito ad un movimento spontaneo non di natura sindacale, che si sta allargando a tutta la Regione, che ha come obiettivo quello di «salvare la professione».
«Altrimenti più nessuno vorrà farla, chi può va in pensione anche prima del tempo ed altri abbandoneranno la convenzione con il Servizio sanitario nazionale e i cittadini non avranno più il loro medico di fiducia» afferma uno dei quasi 550 firmatari su un totale di circa 780 medici di famiglia attivi in tutta la nostra provincia.
Il senso di un malessere profondo, iniziato molto prima della pandemia e con esso acuito, è contenuto in un documento che ieri è stato indirizzato all’assessorato e alla direzione generale Welfare di Regione Lombardia, all’Agenzia di tutela della Salute Brescia e alle quattro Aziende sociosanitarie territoriali bresciane. Documento con il quale i medici di medicina generale chiedono «un confronto preventivo su quelli che devono essere interventi immediati che possano alleggerire il nostro carico burocratico, così da permetterci di tornare a curare i pazienti e a sopravvivere, non solo in senso professionale».
Troppa burocrazia
Scrivono: «In questi due anni, ma in verità anche in periodo pre-pandemico, la nostra dignità professionale è stata svilita da compiti meramente burocratici ed amministrativi, siamo stati allontanati sempre più dalla nostra funzione clinica primaria e spesso utilizzati alla stregua di parafulmini a copertura di evidenti disfunzioni del sistema. Tuttavia rimaniamo l’unico vero riferimento dei cittadini sempre più smarriti in un sistema confuso ed iper-informatizzato, dove i meno abbienti ed i fragili hanno spesso il Medico di Famiglia come figura di riferimento per le problematiche socio-sanitarie».Telefoni sempre occupati
Qual è il risultato? «Le nostre linee telefoniche risultano sempre occupate dalle innumerevoli richieste dei cittadini ed il paziente percepisce il disagio di non riuscire a mettersi in contatto con noi come scarsa disponibilità. Le chiamate, costanti nelle 12 ore giornaliere, sono incessanti e generate dai motivi più svariati, spesso di origine amministrativa: certificati di malattia, richieste di attestazioni, green pass, segnalazioni di casi positivi e di contatti… Dopo 2 anni di pandemia il Dipartimento di igiene e sanità pubblica è stato snaturato a call center, dove lavora un numero esiguo di assistenti sanitarie, incapaci di sopperire alle richieste di migliaia di cittadini. Questo scenario è lo stesso del 2020, intollerabile dopo 2 anni di pandemia e con una quarta ondata a cui ci si doveva preparare per tempo. Le mancanze dimostrate dal sistema di tracciamento erano imprevedibili alla prima ondata, evitabili alla seconda, inammissibili alla terza, da denuncia all’attuale situazione pandemica».
«Sradicati dal nostro ruolo»
Ancora: «La situazione è aggravata dalle problematiche di malfunzionamento del SISS (Sistema informativo socio sanitario di Regione Lombardia) che riscontriamo ormai ogni giorno: l'introduzione di nuovi portali informatici, talvolta diversi, appesantisce ulteriormente il nostro lavoro...da un ruolo professionale prettamente incentrato sulla diagnosi, cura, prevenzione delle malattie ed assistenza socio sanitaria, siamo passati a compiti di segreteria, che non permettono la presa in carico del paziente acuto e cronico». In tredici punti sono elencati i motivi di un disagio profondo «che ha sradicato il nostro ruolo clinico, diagnostico ed assistenziale per sopperire a compiti che non ci spetterebbero, ma di cui ci siamo incaricati perché siamo l’interfaccia diretto tra paziente e Servizio sanitario».
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