Processo Ubi, il teorema dell’accusa smantellato in 268 pagine

Motivazioni della sentenza di assoluzione: per i giudici non ci fu ostacolo all’attività di vigilanza. Bankitalia era informata e partecipe
Il simbolo di Ubi Banca: l’insegna sulla sede bresciana dell’istituto - © www.giornaledibrescia.it
Il simbolo di Ubi Banca: l’insegna sulla sede bresciana dell’istituto - © www.giornaledibrescia.it
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Banca d’Italia e Consob sapevano. Sapevano tutto e non ebbero nulla da eccepire, né all’atto di fondazione, né in fasi successive. Di sicuro non furono ostacolate nelle loro funzioni di vigilanza.

Ad affermarlo sono i giudici del tribunale di Bergamo che l’8 ottobre dello scorso anno, a sette anni e mezzo dall’avvio dell’inchiesta, hanno assolto con formula piena, perché il fatto non sussiste, i protagonisti della fusione per incorporazione tra la bresciana Banca Lombarda e Piemontese e la bergamasca Banche Popolari Unite trasformate nel 2007 in Ubi Banca.

Il presidente Stefano Storto e i giudici a latere Andrea Guadagnino e Maria Beatrice Parati hanno abbattuto a sei mani il castello accusatorio. In tre - e non è circostanza ricorrente - hanno scritto e sottoscritto le motivazioni della sentenza che, attraverso 268 pagine, ha sbriciolato il teorema sostenuto della procura di Bergamo.

Pariteticità

Preliminarmente il collegio compie un inquadramento storico della fusione tra Blp e Bpu. Segnala come l’operazione di incorporazione di una società di capitali (Bpl) e (Bpu) presentava all’epoca caratteri di «assoluta novità» e «aspetti di straordinaria complessità» connessi alla necessità di dare un corpo giuridico unitario a due soggetti distinti non solo per storia e radicamento territoriale, ma anche per le modalità di esercizio dei diritti proprietari essendo Banca Lombarda e Piemontese una spa a trazione capitalistica e guidata da un patto di sindacato tra i principali azionisti, e Bpu un istituto di credito strutturato sul voto capitario, governato dal principio per il quale ad una testa corrisponde un voto, tipico dello scopo mutualistico delle coop.

La figura geometrica, da leggersi come principio utilizzato per far combaciare cerchio e quadrato - rimarcano i giudici - fu quella di pariteticità. Per assicurare all’azionariato forte di Banca Lombarda un ruolo appropriato nella nuova banca fu studiato e poi attuato uno schema di governance «teso a garantire la perfetta parità di rappresentanza negli organi sociali e di vertice della nascente Ubi - scrivono i giudici - delle componenti che discendevano da Blp e da Bpu. La pariteticità fu elevata a canone costituente». Condicio sine qua non per la nascita di Ubi, principio espressamente recepito dallo statuto e dal regolamento del Comitato nomine e «ritenuto da Banca d’Italia - segnala il collegio - in grado di dare vita ad una struttura adeguata alle dimensioni e alle caratteristiche del nuovo gruppo».

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Modifiche palesi

Bankitalia - per i giudici bergamaschi - sapeva ed approvava anche nel 2009 quando, per adeguarsi alle sue Disposizioni di Vigilanza, Ubi modificò i suoi testi statutari per eliminare - come richiesto dall’organo di vigilanza - espliciti riferimenti nel Comitato nomine a soggetti e strutture esterne alla banca, quale era l’Associazione Banca Lombarda Piemontese rappresentante di Giovanni Bazoli e di altri azionisti bresciani e sindacato che fino a quel momento aveva avuto voce in capitolo - proprio in virtù del principio di pariteticità - nella governance di Ubi. Banca d’Italia - stando alle valutazioni del collegio giudicante - non chiese, come sostenuto dal pm Paolo Mandurino - di rinunciare al principio fondativo di Ubi. Oltre che da numerose altre fonti, la prova «del costante rapporto dialettico con Banca d’Italia, che visionò il testo finale del nuovo regolamento del Comitato nomine», del suo placet e, quindi dell’assenza di ogni ostacolo alla vigilanza, è contenuta per i giudici in due email prodotte dalla difesa di Giovanni Bazoli (gli avvocati Stefano Lojacono e Guido Carlo Alleva) in sede di controrepliche, nell’udienza dello scorso 14 settembre; si tratta di missive estratte dai supporti informatici sequestrati agli imputati nel corso delle indagini dalla Guardia di Finanza, ma mai prodotte prima di allora in udienza.

E-mail decisive

Una venne trovata nella casella di posta elettronica di Giuseppe Sciarrotta, manager Ubi, e fu inviata dalla segretaria dell’allora presidente del consiglio di Sorveglianza Ubi Corrado Faissola; l’altra in quella dell’ex consigliere delegato Victor Massiah.

La prima risale al novembre del 2009, la seconda al mese successivo. A quella inviata a Sciarrotta sono allegati tre pdf: una lettera a firma di Faissola su carta intestata Ubi indirizzata a Mieli funzionario generale area vigilanza creditizia e finanziaria di Bankitalia nella quale si legge: «Caro dottor Mieli, le trasmetto bozza del regolamento Comitato Nomine, nel testo aggiornato»; lo stesso regolamento, nel quale sono richiamati criteri inerenti al principio di pariteticità; ed una bozza del regolamento Comitato nomine che verrà in seguito approvato.

La seconda invece è scritta da Ettore Medda, direttore responsabile di Ubi, a Massiah. «Caro Victor, mi ha telefonato l’avvocato Faissola che mi prega di riferiti che Banca d’Italia, alla quale era stato sottoposto in bozza il nuovo Regolamento del Comitato Nomine, ha dato il via libera senza particolari osservazioni. Una volta tanto, una buona notizia». Per il Tribunale di Bergamo si tratta di «evidenze documentali di particolare attendibilità intrinseca che rendono palese la partecipazione di Banca d’Italia nella fase di aggiornamento del testo del regolamento del Comitato nomine». Rendono palese l’assenza di ostacoli.

Trasparenza e legittimità

Nessun patto fu tenuto all’oscuro degli organismi di vigilanza del sistema bancario e di quello di borsa. I giudici lo sottolineano a più riprese, anche con riferimento al ruolo svolto dall’Associazione Banca Lombarda e Piemontese: «Banca d’Italia - scrivono - aveva piena contezza del fatto che l’Abpl, pur avendo perso un ruolo formale, avrebbe continuato a rappresentare la galassia dei soci ex Bpl da cui, con evidenza, gli esponenti ex Bpl del Comitato Nomine avrebbero continuato a trarre i nominativi per la designazione della metà delle cariche sociali. Del resto non vi era - prosegue il collegio - alcun divieto per Abpl di continuare a proporre i nominativi di derivazione bresciana né, di riflesso, per i consiglieri di sorveglianza ex Bpl di continuare a farli propri».

E ancora: «Non può non mancare di osservarsi come l’azione di Ablp, oltre che non in contrasto con il regolamento del Comitato Nomine, si svolse in modo palese dal momento che tutte le nomine furono oggetto di verbali del Consiglio direttivo che, per preciso obbligo statutario, dovevano essere trascritte nel libro dei verbali e vidimati da un notaio». Strano modo - segnalano i giudici - di tenere occulto un patto agli organi di vigilanza. «Se Ablp avesse davvero ritenuto di non dover procedere a confezionare le proposte di nomine da inviare ai membri del Comitato nomine ex Bpl e, tuttavia, avesse parimenti inteso dare corso a tale azione in modo coperto - scrivono i giudici - ben avrebbe potuto svolgere tale attività all’interno di riunioni informali trasmettendone poi gli esiti ai membri del Comitato, attraverso canali comunicativi riservati».

Secondo il Tribunale, Ubi non venne alla luce e tanto meno divenne grande in virtù di manovre e accordi occulti. «L’ipotesi accusatoria - scrivono i tre membri del collegio giudicante - è destituita di fondamento, senza necessità di approfondire i ruoli soggettivi rivestiti dagli imputati nel corso dei processi dialettici tra la Banca e le Autorità di Vigilanza»

Il teorema non sussiste: ecco perché dopo sette anni, scanditi da accuse e richieste pesanti, Giovanni Bazoli, Franco Polotti, Andrea Moltrasio, Victor Massiah, Mario Cera, Francesca Bazoli, Enrico Minelli, Flavio Pizzini, Federico Manzoni, Pierpaolo Camadini, Emilio Zanetti, Giuseppe Calvi, Italo Lucchini, Santus Amrando, Mario Mazzoleni e Carlo Garavaglia sono stati assolti con formula piena.

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