Processo Ubi: «Nessuna regia occulta, imputati da assolvere»

Conclusi gli interventi delle difese dei 31 imputati. Sentenza prevista a fine settembre
Il logo della ex sede del gruppo Ubi Banca in via Cefalonia 74 - Foto New Reporter Zanardelli © www.giornaledibrescia.it
Il logo della ex sede del gruppo Ubi Banca in via Cefalonia 74 - Foto New Reporter Zanardelli © www.giornaledibrescia.it
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Bankitalia non fu tenuta all’oscuro della forma di governance adottata, anzi sapeva e approvò lo statuto della banca nata dalla fusione tra Popolare di Bergamo e Banca Lombarda. Il voto dei soci in assemblea, inoltre, non fu condizionato.

Lo hanno affermato, chiedendo la loro assoluzione da tutte le accuse, i difensori dei 31 imputati del processo Ubi in corso a Bergamo, durante gli interventi che hanno occupato due udienze a settimana da metà maggio fino a ieri e che preludono alla sentenza in calendario nel prossimo mese di settembre dopo le repliche programmate per il 7 e il 14 del prossimo mese di settembre.

Gli imputati sono accusati di ostacolo alle attività di vigilanza di Consob e Bankitalia (che non si è costituita parte civile, mentre il principale Giorgio Jannone l’ha ritirata a procedimento in corso) e del ricorso alla delega di voto in bianco per condizionare l’esito del voto assembleare con il quale i soci nell’aprile del 2013 scelsero la lista alla quale affidare il governo di Ubi. Il pm Paolo Mandurino, lo scorso 4 maggio, al termine della sua requisitoria, ha chiesto ventisei condanne, cinque assoluzioni e pene nel complesso per 84 anni di reclusione.

Nel corso delle udienze dedicate agli interventi dei difensori l’ex ministro di Giustizia Paola Severino - legale della banca finita a processo in qualità di responsabile per le condotte dei suoi amministratori - ha citato le numerose ispezioni eseguite, ma anche la fitta corrispondenza con Bankitalia per dimostrare che nulla le era stato tenuto nascosto. L’avvocato Severino ha sostenuto che il principio di pariteticità - poi finito a processo al pari di quello dell’alternanza e dell’alternatività degli incarichi tra le anime di Bergamo e Brescia di Ubi - era noto già alla vigilia della fusione tra le due banche «ma anche scolpito nello statuto letto da Bankitalia, che approvò». Palazzo Koch per Severino «si confronta su altre questioni, per migliorare il modello. Lo fa non per mettere in discussione il principio di pariteticità o perché le sia stato occultato qualcosa». Tanto più che - ha sottolineato l’avvocato Stefano Lojacono, difensore di Giovanni Bazoli - «Bankitalia, che pure avrà analizzato a fondo la questione, non c’è, non si è nemmeno costituita parte civile». La ragione della sua assenza per l’avvocato del presidente emerito di Banca Intesa (nei cui confronti il pm ha chiesto 6 anni e 8 mesi di reclusione) è presto detta: «Palazzo Koch fu informato, interagì e trattò». La prova per Lojacono è in diversi documenti: verbali di comitati direttivi, ma anche lettere della stessa Bankitalia, dalla quale emerge la sua conoscenza dei principi cui era ispirato il governo della banca.

Per l’avvocato Lojacono «nell’autorizzare la nascita di Ubi, Banca d’Italia autorizzò una banca che nasceva sul principio di pariteticità (trale componenti bergamasca e bresciana). Un principio che non è mai venuto meno per un preciso compromesso tra Ubi e Bankitalia e quindi non è mai nemmeno stato reintrodotto - come ritiene l’accusa - attraverso un patto parasociale occulto». Secondo l’avvocato Guido Alleva, altro difensore di Bazoli, il banchiere va assolto da tutte le accuse a partire da quella secondo la quale sia stato un amministratore di Ubi Banca anche senza rivestire cariche sociali nell’istituto e che sia comunque riuscito ad influenzare la sua governance. «Bazoli veniva sentito e ascoltato dai manager di Ubi in virtù della sua grande esperienza nel settore» ha spiegato l’avvocato.

I difensori degli imputati accusati di interferenza illecita sull’assemblea hanno criticato « l’equazione fatta dagli inquirenti tra delega in bianco e voto per la lista Moltrasio (quella poi che vinse le elezioni del 2013 ndr)». Hanno denunciato l’assenza di condotte penalmente rilevanti, ma anche la mancanza della prova che ogni singolo voto espresso sia stato conseguenza di un illecito. Completati gli interventi delle difese, il presidente Stefano Storto ha aggiornato il processo a dopo l’estate. La sentenza è prevista per il 24 settembre.

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