Italia e Estero

Processo Ubi, il teorema «non sussiste»: com'è finita l'inchiesta

Cade l’accusa di ostacolo a Consob e Banca d’Italia contestata a Bazoli e ai vertici: tutti assolti. Ecco com'era iniziata sette anni fa
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UBI BANCA, TUTTI ASSOLTI
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Non ci fu alcun patto occulto. Non c’è reato. Non ci sono colpevoli. Dopo sette anni - tra inchiesta e processo - il teorema sposato dalla procura di Bergamo, secondo il quale l’anima bergamasca e quella bresciana di Ubi avevano operato nell’ombra alle spalle di Consob e Banca d’Italia per spartirsi il controllo dell’istituto di credito nato dalla fusione tra Banca Popolare di Bergamo e Banca Lombarda, si schianta contro i giudici della prima sezione penale del Tribunale di Bergamo.

La sentenza dell'8 ottobre

La sentenza letta alle 19,37 dal presidente Stefano Storto (a latere Maria Beatrice Parati e Andrea Guadagnino a latere) dopo dieci ore di camera di consiglio lo polverizza. Il fatto non sussiste dice il presidente dopo aver nominato e assolto, uno per uno, Giovanni Bazoli, presidente emerito di Banca Intesa; Victor Massiah, Franco Polotti ed Andrea Moltrasio rispettivamente consigliere delegato, presidente del consiglio di gestione e di quello di sorveglianza; Mario Cera, Enrico Minelli, Flavio Pizzini, Federico Manzoni, Pierpaolo Camadini, Emilio Zanetti, Giuseppe Calvi, Italo Lucchini, Armando Santus, Mario Mazzoleni, Carlo Garavaglia e Francesca Bazoli (per l’assoluzione della quale si era già pronunciato lo stesso pm, il 4 maggio scorso al termine della sua requisitoria). Assolta anche Banca Intesa che acquisendo Ubi ne aveva ereditato il ruolo a processo in qualità di responsabile per le condotte penalmente rilevanti dei suoi amministratori.

Il banchiere Giovanni Bazoli (archivio) - © www.giornaledibrescia.it
Il banchiere Giovanni Bazoli (archivio) - © www.giornaledibrescia.it

Briciole restano anche della seconda ipotesi d’accusa: l’interferenza illecita sull’assemblea che nell’aprile del 2013 fu chiamata a scegliere la squadra alla quale affidare la guida della banca. Erano diciassette gli imputati accusati di aver condizionato il voto ricorrendo al meccanismo delle deleghe in bianco. Per nove (Victor Massiah,Italo Folonari, Marco Mandelli, Gemma Maria Baglioni, Antonelli Bardoni, Matteo Brivio, Ettori Ongis e Angelo Ondei) il tribunale ha dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione, mentre per gli altri otto (Giovanni Bazoli, Andrea Moltrasio, Ettore Medda, Giuseppe Sciarrotta, Guido Marchesi, Rossano Breno, Ettore Ongis, Stefano Lorenzi e Giovanni D’Aloia) pronunciato assoluzione perché il fatto non costituisce reato.

Il presidente dà appuntamento ai primi giorni del 2022 per le motivazioni, finisce di leggere il dispositivo e toglie la seduta.

Le reazioni

Alcuni legali lasciano l'aula dove si è svolto il processo Ubi al Tribunale di Bergamo - Foto Ansa  © www.giornaledibrescia.it
Alcuni legali lasciano l'aula dove si è svolto il processo Ubi al Tribunale di Bergamo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

L’aula a pianterreno della procura di Bergamo, che ha ospitato il processo, si rianima. Il pm Paolo Mandurino, scortato dal procuratore Antonio Chiappani e dall’aggiunto Maria Cristina Rota, si defila, mentre i difensori si scambiano ben più di qualche stretta di mano. «Un processo così - ci ha detto a caldo l’avvocato Stefano Lojacono, difensore del prof. Bazoli - si poteva solo perdere. Quando si difende persone che si sanno innocenti è così:è molto difficile. Una sentenza diversa dall’assoluzione in ogni caso sarebbe stata inaccettabile». Pochi istanti dopo a parlare, attraverso una nota, è lo stesso Bazoli. «Apprezzo grandemente la professionalità e l'indipendenza dimostrata dal Tribunale di Bergamo che ha emesso questa sentenza, che fa onore alla magistratura. Resta però inaccettabile - scrive il presidente emerito di Banca Intesa - che la vita di incensurati cittadini e stimati professionisti e imprenditori sia stata sconvolta per sette anni da una vicenda giudiziaria basata su un'accusa totalmente infondata».

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Com'era nata l'inchiesta

A scagliare la prima pietra furono Adusbef ma soprattutto, dopo essere usciti sconfitti dal voto dell’assemblea del 2013, i consiglieri di minoranza Giorgio Jannone, ex parlamentare di Forza Italia, ed Andrea Resti. I loro esposti diedero vita all’inchiesta coordinata inizialmente dal sostituto procuratore Fabio Pelos. Sul campo gli uomini della Guardia di Finanza, che a partire dalla primavera del 2014 compiono diverse perquisizioni - anche nella sede bresciana di Ubi in via Cefalonia. Iniziate nel novembre 2014 le indagini si chiudono due anni dopo. Trenta le persone iscritte nel registro degli indagati.

Su cosa si indagava

Due i filoni. Da un lato l’ostacolo all’attività di vigilanza di Consob e Banca d’Italia, alle quali secondo l’accusa sono stati tenuti nascosti patti parasociali tra l’anima bergamasca e bresciana della banca per gestire secondo criteri di pariteticità ed alternanza l'istituto di credito nato dalla fusione di Popolare di Bergamo e di Banca Lombarda. Dall’altro l’influenza illecita sull’assemblea per aver falsato l’esito del voto con un massiccio ricorso al meccanismo delle deleghe in bianco.

La richiesta delle condanne

Le accuse - nonostante le perplessità dello stesso gup Ilaria Sanesi - nell’aprile del 2018 passano indenni il vaglio dell'udienza preliminare. Il fascicolo tre mesi dopo approda a dibattimento. E a dibattimento ci rimane per tre anni. Il 4 maggio scorso, poco meno di un anno dalla conclusione dell’Opa con la quale Banca Intesa ha fatto sua Ubi e consegnato agli archivi la storia della banca oggetto del processo, il pm Paolo Mandurino (il terzo titolare dell’inchiesta passata anche sulla scrivania di Walter Mapelli) chiede condanne per venticinque dei trenta imputati. La più pesante per il prof. Giovanni Bazoli, presidente emerito di Banca Intesa: 6 anni e 8 mesi di reclusioni. L'accusa chiede 5 anni di carcere anche per il consigliere delegato Victor Massiah, 5 anni e 10 mesi per Andrea Moltrasio e Franco Polotti, rispettivamente presidente del consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione. Il pm chiede l'assoluzione della banca dalla responsabilità amministrativa sugli illeciti commessi dai suoi amministratori e quella di altri cinque imputati oltre che di Francesca Bazoli. Consob - unica parte civile sopravvissuta, dopo che Jannone e Resti, i grandi accusatori, hanno ritirato la costituzione - pretende 200mila euro per il danno d'immagine patito. Banca d’Italia, vittima per la procura bergamasca delle presunte macchinazioni, invece non c’è. Non si è mai costituita. 

Le obiezioni della difesa

Alle richieste di pena le difese replicano riproponendo la sentenza con la quale nel settembre del 2015 la Corte d’appello di Brescia annullò la multa da 895mila euro comminata da Consob ad alcuni consiglieri del consiglio di sorveglianza, sanzionati proprio per i presunti patti parasociali. Banca d’Italia e Consob diranno nei loro interventi che gli avvocati di Bazoli, Massiah e degli altri imputati accusati di ostacolo alla vigilanza, erano al corrente dei criteri di gestione della Banca. È stato fatto tutto alla luce del sole.

I difensori inoltre criticano da un lato l’equivalenza fatta propria della procura, secondo la quale alle deleghe in bianco sarebbero corrisposti voti invalidi, dall’altro i criteri di calcolo utilizzati per stabilire che l’esito del voto dei soci per scegliere la governance dalla banca dell’aprile 2013 risultò falsato. Un confronto - quello sull’interferenza illecita sull’assemblea - superato con largo anticipo rispetto alla sentenza dalla prescrizione, intervenuta nel corso dell’estate. Il resto è storia di ieri.

L'unico condannato

L’unico a non uscire indenne dal processo è Franco Polotti, ex presidente del consiglio di gestione di Ubi Banca. La procura, tra le altre cose, gli contestava anche di non aver comunicato né alla banca, né alla Consob di avere partecipazioni in una società che aveva ottenuto finanziamento da Ubi per realizzare edificazioni su cespiti a lui riconducibili. Per questa ipotesi di reato, contestata solo a lui, il Tribunale lo ha condannato a un anno e sei mesi, oltre a poco meno di 7mila euro di multa (pena sospesa).

Non bene dal processo escono anche cinque testimoni chiamati a testimoniare in aula dal pubblico ministero Paolo Mandurino. È stato lo stesso pm, al termine della sua requisitoria, a chiedere al Tribunale di restituire gli atti alla procura perché li indaghi per falsa testimonianza. Il presidente Stefano Storto lo ha accontentato e per i cinque il processo Ubi potrebbe avere una coda.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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