Politiche 2022, i centomila giovani alle urne tra disincanto e indignazione

Il 25 settembre sarà la prima volta alle urne di 5.741 neodiciottenni bresciani. Una categoria di cui tutti parlano ma pochi ascoltano
Un gruppo di ragazze e ragazzi a un evento
Un gruppo di ragazze e ragazzi a un evento
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Il primo ostacolo, che è poi pure il sintomo della divergenza madre, sta già nell’etichetta onnicomprensiva: i giovani. Un termine con il quale ormai si identificano in modo identico gruppi che identici non sono o, meglio, che identici non dovrebbero essere. Sta qui il primo scoglio, nella rappresentazione di un problema che ha contaminato tutti gli ambiti: dal lavoro alla politica. Ed è, in sostanza, questo: in Italia «giovani» e «adulti» si somigliano molto, troppo.

«I ragazzi» sono i quarantenni come i diciottenni e già qui si instaura un dialogo attorcigliato in partenza. Lo si capisce anche dal fatto che per distinguere i giovani veri dagli adulti senza ruolo riconosciuto, si ricorre spesso a uno stratagemma linguistico: si usa «i più giovani» o i «giovanissimi» per indicare gli under 25. Che c’entra questo con il Barnum elettorale in vista del voto del 25 settembre? Molto, in realtà.

Il cortocircuito

Tutti ripetono di dar spazio ai giovani, eppure li si lascia invecchiare. Ed è così anche in politica, dove il distacco tra l’annuncio e i fatti si traduce ora in distacco comunicativo. I partiti non concedono loro di entrare nelle stanze in cui si decide: basta scorrere le liste dei candidati a queste elezioni politiche per accorgersene, gli under 35 sono rari. «Parlano tutti di noi, ma non ascoltano e non ci prendono sul serio. Per noi non c’è mai posto» è quel che ripetono giovani e adulti ormai ad ogni elezione.

Vige ancora, nella politica come nel mondo del lavoro, una sorta di principio di autoconservazione, si fa fatica a passare il testimone e (anche) ad insegnare. Ma questo porta a un solo risultato: il cortocircuito comunicativo, appunto. Quali siano i temi prioritari, sia i Millennial (i nati tra il 1981 e la metà degli anni ’90) sia la generazione Z (i nati tra gli ultimi anni ’90 fino al 2012) lo hanno ribadito anche a suon di manifestazioni di piazza: il movimento Fridays For Future ne è l’esempio lampante per quanto riguarda ambiente e crisi climatica. Eppure, proprio su quei temi, chi decide si mostra ancora troppo timido.

«Sembra che si parlino due lingue differenti: è chiaro che se chi sta dentro ha 70 anni, continua a ragionare con logiche vecchie. Insomma: non ci capiamo proprio» confessa uno dei pochi candidati under 40 (con la promessa di restare anonimo). Come a dire: c’è un tempo di attesa estenuante prima che in Italia si possa essere (davvero e fino in fondo) riconosciuti degni di una responsabilità. Tanto che il ritornello suona sempre così: «Voi giovani siete il nostro futuro». Non capendo invece che quel che Millennials e generazione Z stanno urlando da tempo è che non vorrebbero essere il futuro proprio di nessuno, basterebbe poter essere il presente.

Il sondaggio

Ecco perché delusione, rabbia, disincanto e indignazione silente aleggiano tra i giovani. Ad evidenziarlo è l’indagine condotta da Ipsos proprio quest’estate. L’affresco che ne esce (al netto di una piccola fetta di platea a cui non interessa avvicinarsi alla politica), è quello di una generazione che non solo vuole partecipare, vorrebbe farlo di più ma in modo migliore. Il 41-43% di ragazze e ragazzi non sa chi votare, a questo si somma una quota compresa tra il 10% e il 15% di giovani che non è mai andato a votare da quando è diventato maggiorenne e un altro 6-8% che annulla la scheda.

Sfogliando l’indagine, emerge che l’86% dei Millennials e della generazione Z è arrabbiato per le differenze sociali presenti nel Paese. Il 78% ritiene partiti e politici distanti e disinteressati ai problemi dei giovani e sempre il 78% afferma che stiamo vivendo in un periodo di grandi ingiustizie e sfruttamento. Il 72% si dice preoccupato per l’eccessivo potere delle multinazionali, mentre il 71% pensa che tutti i politici siano disonesti.

I nuovi elettori del Senato

Sono 5.741 i bresciani neomaggiorenni - © www.giornaledibrescia.it
Sono 5.741 i bresciani neomaggiorenni - © www.giornaledibrescia.it

Qualche passo la politica ha tentato di farlo. Il 25 settembre non sarà solo la data della «prima volta» alle urne dei 5.741 neodiciottenni (dato Istat). Con le Politiche debutta anche la platea allargata per scegliere chi siederà in Senato. Dopo l’ultima riforma costituzionale, infatti, è ufficialmente decaduto il vincolo dei 25 anni compiuti per esprimersi sui rappresentanti in corsa per Palazzo Madama. La riforma ha aperto così la strada a circa 100mila elettori bresciani in più, di cui circa 20mila residenti nel capoluogo: quelli, appunto, della fascia compresa tra i 18 e i 24 anni, un processo che rende così omogenee le due Camere.

Numeri che - in un momento storico in cui l’astensione continua la sua scalata inesorabile - potrebbero segnare davvero la differenza diventando potenzialmente anche decisivi. I partiti, a ridosso dell’appuntamento elettorale, lo hanno capito e se ne sono ricordati: per questo si ripetono gli appelli al voto destinati ai giovani. Ora, però, servirebbe adeguare se non i ruoli (le liste sono ormai già sigillate), almeno i programmi. Si è ancora in tempo.

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