Niente più pagelle d’oro sul Giornale di Brescia: ecco perché

Il Garante della Privacy ha detto che questa pubblicazione «non s’ha da fare»: una questione di formalismo legale
Banchi vuoti in un'aula scolastica
Banchi vuoti in un'aula scolastica
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Quest’anno non verranno più pubblicate le pagelle d’oro sul Giornale di Brescia. Perché? Bé, il Garante della Privacy ha detto che questa pubblicazione «non s’ha da fare». Quindi, per il dispiacere di studenti, genitori e nonni, quest’anno non si potrà sbandierare il pezzo di giornale come fosse una medaglia d’oro. Nessun onore agli eccellenti. Almeno in pubblico.

Perché? Non vogliamo addentrarci nei dettagli tecnici del provvedimento. Non intendiamo chiedere quale sia la ragione giuridica dell’intervento dell’Authority. No. Vogliamo porre una domanda: «Che senso ha bloccare la pubblicazione delle pagelle migliori della provincia?». Dimentichiamo per un momento la rete di norme e cavilli che popolano le leggi (Gdpr, regolamento generale compreso) e sondiamo l’anima della normativa. Non serve uno sforzo eccessivo, basta leggere il dimenticato articolo 1 che recita: «Il presente regolamento stabilisce norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali».

Proteggere le persone: ma quali?

Ecco, basta scorrere queste due righe per capire che l’intenzione di questa nobile norma è quella di proteggere le persone, e che rispetto ad esse la protezione dei dati, delle informazioni, è solo un mezzo. Quando applichiamo una norma dobbiamo sempre chiederci chi vediamo in fondo a questo processo: se ci vediamo una persona che stiamo proteggendo allora siamo sulla strada giusta; se ci vediamo un pezzo di carta allora siamo scaduti nel formalismo legale, che altro non è se non una delle piaghe del diritto perché si dimentica del suo principale obbiettivo: tutelare, appunto, l’uomo.

Ora, fatta questa premessa, dobbiamo chiederci se inibire la pubblicazione delle pagelle d’oro sui giornali protegga qualcuno, o no. È chiaro che una risposta sensata non può dimenticare un fatto, ossia che stiamo parlando non di tutte le pagelle, ma solo di quelle dei ragazzi migliori. Ebbene: la pubblicazione danneggerebbe questi bravissimi studenti? O forse non sarebbe un giusto riconoscimento delle notti insonni passate sui libri, dell’ansia da interrogazioni, del duro lavoro che per mesi li ha impegnati sui banchi? Farebbe male ad uno studente poter esibire voti d’oro? Magari citarli nel curriculum? La risposta mi pare scontata: no. Farebbe male alle famiglie? Ogni padre direbbe proprio di no. Dulcis in fundo: farebbe male a chi non compare tra gli eccellenti? No. Perché se pubblicare i vincitori vien letto come offendere gli sconfitti allora il danno sarebbe sì enorme, ma dal punto di vista educativo. Insegnare a volgere lo sguardo a chi ha visto premiare il proprio impegno e il proprio talento è uno stimolo per tutti. Anche e soprattutto per chi sul podio non ci è salito. Ed è un insegnamento di vita: in ogni cosa, in ogni sfida, potremo vincere o perdere. È la vita, e alla vita dobbiamo preparare i giovani. Non alle favole. Quindi no. Non fa male nemmeno a chi non finirebbe comunque sulla pagina dei voti d’oro.

Appiattimento

E allora, questo divieto, questo provvedimento, chi protegge? Non lo sappiamo, proprio non ci arriviamo. Ma possiamo dire che se qualcosa esce vincitrice da questa storia tipicamente italiana è la tensione verso un appiattimento delle menti. È la pretesa di farci sentire sempre e comunque tutti uguali: chi ha studiato la notte e chi la stessa notte l’ha passata in discoteca e ha preso due. Se non riconosciamo il merito, o se addirittura lo censuriamo in nome della privacy, quale stimolo daremo a questi ragazzi? Fa sorridere - giusto per rimanere sul tema - il nuovo nome del dicastero: Ministero dell’Istruzione e... del Merito. Verrebbe da dire: aggiungete «purché anonimo». Con buona pace dell’impegno messo in campo da chi il riconoscimento del proprio merito - davanti agli occhi di tutti - se l’era sudato.

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