Maltrattamenti «fatto culturale», ora la magistratura si divide

L’Anm di Brescia difende il pm finito nella bufera. Sei consiglieri chiedono al Csm di aprire una pratica nei confrondi del pm di Brescia
Un'aula del tribunale di Brescia - © www.giornaledibrescia.it
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Prima la Procura, poi il ministro Nordio, dopo l’Associazione nazionale magistrati e infine il Csm. Così la Magistratura si divide sul caso del sostituto procuratore di Brescia che chiedendo l’assoluzione di un imputato di origini bengalesi accusato di maltrattamenti sulla moglie ha scritto nero su bianco che «i contegni di compressione delle liberà morali e materiali della persona offesa da parte dell’odierno imputato sono frutto dell’impianto culturale di origine e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge».

La difesa

Dopo che il procuratore capo Francesco Prete aveva preso le distanze dal suo sostituto - «la Procura ripudia qualunque forma di relativismo giuridico, non ammette scriminanti estranee alla nostra legge ed è sempre stata fermissima nel perseguire la violenza, morale e materiale, di chiunque, a prescindere da qualsiasi riferimento culturale, nei confronti delle donne» - è l’Anm locale a far sentire la propria voce. In difesa del magistrato al centro del caso.

«Nonostante il tenore letterale riportato dai media della formula assolutoria richiesta e dell’argomentazione correlata ad essa sottesa, dalla lettura completa dell’atto in questione emerge che a fondamento della domanda di assoluzione il sostituto procuratore ha addotto principalmente la mancanza di prova del fatto tipico, e in particolare dell’abitualità della condotta, requisito previsto dalla legge perché il reato di maltrattamenti si configuri. Una simile rappresentazione della vicenda giudiziaria non solo ostacola il corretto esercizio del diritto di critica da parte dell’opinione pubblica - di per sé legittimo - ma costituisce terreno fertile per l’emersione di atteggiamenti delegittimanti ed esternazioni denigratorie» scrive l’Associazione nazionale magistrati di Brescia.

Il provvedimento

Il riferimento dell’Anm è alla prima parte della relazione del pm nella quale il magistrato scrive che «non sono emersi fatti idonei a realizzare quella pregnante offesa dell’integrità psico fisica della vittima, tale da farla precipitare in una condizione duratura di sofferenza e prostrazione, tipica del reato di maltrattamenti».

Nel comunicato l’Anm non tiene però in considerazione un aspetto determinante. L’assoluzione dell’uomo accusato di maltrattamenti non viene chiesta «perché il fatto non sussiste» e quindi perché non ci sono sufficienti prove per dimostrare che il reato contestato sia stato commesso dall’imputato. Ma perché «il fatto non costituisce reato per difetto dell’elemento soggettivo tipico» come scrive lo stesso pm. E cioè, sempre per citare le parole del sostituito procuratore, perché «il marito non voleva annichilire e svilire la moglie per conseguire la supremazia su di lei», ma avrebbe agito perché «la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura». Quindi «il fattore culturale» non è un passaggio secondario, ma è il cuore della richiesta di assoluzione che sarà discussa in aula il prossimo 17 ottobre.

Per l’Anm «è stata gravemente minata innanzitutto la dignità umana e professionale del singolo magistrato coinvolto e la cui cifra personale, culturale e professionale è stata indebitamente messa in discussione. Le critiche rivolte al singolo magistrato si propagano al suo ufficio giudiziario di appartenenza e alla magistratura in generale». Nel mirino finisce poi la politica «che sempre più frequentemente invoca, quale rimedio per ogni male giudiziario (reale o presunto), ispezioni ministeriali negli uffici interessati e sanzioni disciplinari, a prescindere dalla sussistenza dei presupposti di legge, e ciò avviene ogni qualvolta le valutazioni compiute dai magistrati non coincidano con le aspettative dell’opinione pubblica prevalente, slegate dalla compiuta conoscenza dei fatti concreti e, spesso, dei termini delle questioni giuridiche implicate».

Salto di livello

Il caso ha però varcato i confini locali ed è destinato a finire sul tavolo del Csm. Sei componenti laici del Consiglio superiore di magistratura hanno infatti chiesto di aprire una pratica nei confronti del sostituto procuratore di Brescia al centro del caso. «Per la gravità delle asserzioni del pm che parrebbe giustificare, se non autorizzare, la violenza domestica» specifica il consigliere laico di Forza Italia Enrico Aimi, il primo a firmare la richiesta al Comitato di presidenza del Csm di una pratica sul caso Brescia.

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